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  • «Noi leggiavamo…». Fortuna iconografica e rimediazioni visuali dell’episodio di Paolo e Francesca fra XIX e XXI secolo →

 

È stata definita «la presa del Louvre» (Kieffer 2018). Nel videoclip APESHIT (stilizzato in lettere maiuscole e spesso attenuato dagli asterischi) Beyoncé e Jay-Z si appropriano di un emblema della modernità artistica occidentale per officiare in mondovisione la loro cerimonia di incoronazione. Il rito è destinato a un pubblico le cui proporzioni superano, di fatto, quelle di ogni impero del passato (soltanto su Youtube il video ha collezionato più di 235 milioni di visualizzazioni, senza contare le condivisioni e i likes sulle altre piattaforme). I corridoi e i padiglioni del museo più visitato al mondo, normalmente traboccanti di turisti e visitatori, appaiono adesso eccezionalmente vuoti, riservati ai danzatori e ai cantanti: lo spazio aperto e l’eco che rimbomba nelle sale dell’antica residenza regale francese diventano così i segni eloquenti della compiuta consacrazione della coppia di artisti, che nel brano si ripetono a vicenda «I can’t believe we made it». Chi ha denunciato in Apeshit il delirio autocelebrativo e mitomane delle due maggiori celebrità dell’industria musicale, un arrogante oltraggio kitsch dei «nuovi monarchi della cultura» nei confronti della «Cultura» (Devillers 2018), è fuori strada. L’occupazione del Louvre non risponde all’esigenza della coppia di celebrare la propria carriera e il proprio matrimonio, ostentando il potere e l’enorme successo finanziario raggiunto, ma è pienamente funzionale a una rivendicazione dalla portata senz’altro scandalosa ma altamente coerente e fondata, come vedremo, su una interpretazione dell’arte e della storia che le categorie dantesche aiuteranno a mettere a fuoco.

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