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La storia delle donne ‘al cinema’ si intreccia fin dai suoi esordi con la questione sociale e politica dell’ingresso nella sfera pubblica e della partecipazione alla vita associata. Come Miriam Hansen scriveva nella celeberrima analisi del fenomeno Valentino, e come hanno successivamente dimostrato i lavori di Andrea Walsh, Jackie Stacey, Annette Kuhn, Veronica Pravadelli, per citare i principali, il cinema ha rappresentato nel corso del Novecento un importante volano di emancipazione e, più ampiamente, un luogo di incontro, di relazione e di acquisizione di una coscienza politica e sociale per le donne.

Contemporaneamente l’accesso al cinema è stato lungamente interdetto alle spettatrici, in quanto spazio pubblico e in ragione delle peculiari condizioni che impone: promiscuità, buio, intensità della stimolazione sensoriale che, come si legge ancora in alcune ricerche degli anni Cinquanta, sovraeccita pericolosamente un pubblico già impressionabile e irrazionale qual è quello femminile.

Al cinema sì, dunque, ma non da sole. L’interdizione ad entrare in sala senza un accompagnatore (o un’accompagnatrice) si manifesta, naturalmente, in modo diverso a seconda dei momenti storici e dei contesti sociali e culturali. A cavallo fra gli anni Quaranta e Cinquanta, come racconta Walsh, paradossalmente in modo più rigido che non nei due decenni precedenti; e se pensiamo all’Italia, nelle regioni meridionali assai più sistematicamente che nelle aree del settentrione del Paese.

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