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  • 'Paesaggi di vita'. Mito e racconto nel cinema documentario italiano (1948-1968) →
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L’opera documentaria di Luigi Di Gianni prende le mosse dalle ricerche dell’etnologo Ernesto De Martino e mostra un notevole interesse per le pratiche magico-religiose, ancora presenti nel Meridione tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Settanta. Magia Lucana (1958), documentario d’esordio, presenta stilemi caratteristici della prima fase della sua produzione, quali il rigore formale delle inquadrature e l’organizzazione ‘registica’ degli eventi, le cui scene vengono rievocate dagli stessi individui che li vivono quotidianamente, quasi come un film di finzione. Il male di San Donato (1965) costituisce una svolta stilistica che segna l’apertura alle riprese ‘frontali’ degli eventi e l’utilizzo del sonoro in presa diretta. All’oggettività della disciplina etnografica, Di Gianni contrappone la poetica della soggettività come parte integrante della realtà catturata dalla macchina da presa. Il suo sguardo autoriale trascende l’impostazione storico-sociale della scuola demartiniana, proponendo una prospettiva diversa sulle pratiche magico-rituali, non più legate a necessità materiali o frutto della superstizione, bensì rifugio da un’angoscia metafisica (che ha legami con la filosofia di Heidegger), un foucaultiano strumento di tecnologia del sé contro l’inquietudine esistenziale, che sembra anticipare le conclusioni ritrovate negli scritti di De Martino, pubblicati postumi.

Luigi Di Gianni’s documentary work takes its cue from the research of ethnologist Ernesto De Martino and demonstrates a notable interest in the magical-religious practices that persisted in Southern Italy between the late 1950s and early 1970s. Magia Lucana (1958), his debut documentary, exemplifies the stylistic hallmarks of the first phase of his production, including the meticulousness of the shots and the ‘directorial’ organization of the events, which are re-enacted by the very individuals who experience them, almost like a fictional film. Il male di San Donato (1965) represents a stylistic turning point that marks the opening to the ‘frontal’ filming of events and the use of live sound. Against the objectivity of ethnographic methodology, Di Gianni counterpoints the poetics of subjectivity as an integral aspect of the reality captured by the camera. His authorial perspective transcends the social-historical approach of the Demartinian school, proposing an alternative view on magical-ritual practices. These are no longer linked to material necessity or the result of superstition. Instead, they offer a refuge from a metaphysical anguish (which has links with Heidegger's philosophy) and can also be seen as a Foucaultian instrument of self-technology against existential uneasiness. This approach seems to anticipate the conclusions found in De Martino’s posthumously published works.

All’interno della cerchia dei registi demartiniani, Luigi Di Gianni si distingue per uno sguardo sulle pratiche magico-rituali derivante da una dimensione filosofica, squisitamente esistenziale, ancor prima che estetica e documentaria. La compresenza di realtà e finzione nelle sue opere non è solo scelta stilistica e simbolica, ma diventa strumento imprescindibile per un’indagine del reale. È su questo terreno ibrido, “onirico” – per citare il suggestivo contributo di Gaudiosi (2023, pp. 39-46) – che il suo cinema percorre sentieri inesplorati, si costituisce come forza rivelatrice del rapporto tra uomo e mondo.

In questa direzione, si è scelto di analizzare alcune sequenze di Magia Lucana (1958) e Il male di San Donato (1965), entrambi incentrati su riti arcaici, episodi di possessione e fascinazione, e segnanti due fasi differenti della sua produzione. Partendo dalla potenza evocativa dei fotogrammi in bianco e nero, si cercherà di mostrare come – nonostante le importanti differenze – i documentari di Di Gianni siano entrati in dialogo con le teorie De Martino e ne abbiano superato l’impostazione storico-sociale, anticipando una concezione metafisica, esistenziale, della ritualità, che emerge negli ultimi scritti dell’etnologo napoletano.

 

1. Magia lucana

Nuvola,

nuvola scura,

ca se venut’à ffa?

Va’ via, vattinne luntano, vattinne a lu bosco.

Ristuccia, ristuccia

Vattinne da chilla parte scura, dove non canta lu gallo

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