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Partendo dalla definizione che ne ha dato Walter Benjamin, l’articolo propone un’interpretazione del concetto di aura all’interno della produzione narrativa di Ali Smith, e in particolare nei romanzi Artful (2012) e How To Be Both (2014). Dopo una preliminare riflessione sulla concezione di aura di Bejamin, definendone le caratteristiche e i tratti epistemologici, si passa all’analisi della rappresentazione delle immagini (soprattutto fotografiche e cinematografiche) nei romanzi di Smith. Scopo dell’articolo è quello di dimostrare come le specifiche strategie messe in atto dall’autrice lascino aperta la possibilità di interpretare anche le immagini della contemporaneità in una chiave ‘auratica’. 

Starting from Benjamin’s definition of aura, the purpose of this article is to interpret such a concept in the narrative production of the Scottish writer Ali Smith, in particular in her novels Artful (2012) and How To Be Both (2014). In the first part of the article, I will dwell upon Benjamin’s notion of aura and its epistemological functions. In the second part, I will analyse the representation of the images (especially photographic and cinematic ones) in Smith’s novels in order to demonstrate that the concept of aura is applicable to interpreting contemporary images too.

Secondo la celebre interpretazione di Walter Benjamin, nell’epoca moderna della riproducibilità tecnica l’opera d’arte perderebbe una delle caratteristiche fondanti che l’avevano contraddistinta sino (e poco oltre) l’apparizione della fotografia: l’aura, quell’alone di sacralità e di unicità che aveva reso l’opera d’arte un oggetto cultuale. La possibilità di moltiplicare e di mercificare l’oggetto artistico ne ricondurrebbe la sfera ontologica dal trascendente all’immanente, modificando in maniera ineludibile la percezione e la fruizione da parte di un pubblico sempre più massificato. L’aura sembrerebbe quindi assumere i tratti di un concetto storico, dotato di una sua specificità temporale che ha, come limite ad quem, l’epoca modernista: con l’avvento del cosiddetto postmoderno e della società tardo-capitalistica, quei residui auratici che Benjamin ancora individuava nel dagherrotipo (e che appartengono in qualche modo anche ai primi esiti cinematografici) vengono a cadere in modo evidente non solo per quanto riguarda i meccanismi produttivi, ma anche all’interno delle stesse poetiche di artisti e scrittori, consci ormai dei processi di reificazione in cui sono immersi.

È dunque possibile parlare di aura all’interno della produzione artistica attuale? Questo articolo propone una lettura “eccentrica” di una scrittrice contemporanea, Ali Smith, da molti considerata fra le voci più originali del panorama britannico e non solo e le cui opere sono state spesso interpretate in chiave postmodernista e culturale (secondo prospettive gender, queer, eco-critiche). La lettura qui proposta di alcuni suoi romanzi (in particolare Artful e How To Be Both) mira invece a rintracciare un possibile recupero dell’aura nell’uso che Smith fa delle immagini all’interno del tessuto narrativo. Lontano dal citazionismo ironico e dall’uso ludico della cultura visuale esibito da buona parte della letteratura postmodernista, l’impianto iconografico delle opere di Ali Smith si innesta sulla vita emotiva, psichica dei personaggi all’interno di una configurazione molto spesso luttuosa. Come vedremo, proprio l’insistenza sulla distanza (sia temporale che intermediale, nel restituire sulla pagina scritta la sfera visiva) e sulla dimensione dell’«è stato»[1] delle immagini inserite all’interno della narrazione fa sì che queste ultime acquisiscano agli occhi tanto dei personaggi quanto dei lettori quella dimensione auratica, magica e trascendente che Benjamin aveva identificato nell’era pre-massmediale.

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