Negli ultimi quindici anni un rilevante numero di studiosi ha rivolto la propria attenzione verso i film festival, laddove in precedenza il tema era affrontato sporadicamente o si concentrava su singoli casi. Dalla fine del primo decennio del Duemila, infatti, i festival cinematografici sono stati analizzati con riferimento alla loro storia ed evoluzione, alla loro funzione entro il sistema culturale e industriale (in senso diacronico e sincronico), alle caratteristiche comuni e specifiche, alle ricadute sul territorio in cui hanno sede in termini occupazionali, economici e d’immagine, alla posizione strategica giocata rispetto alle dinamiche socio-politiche transnazionali, alla carriera di un regista e al ciclo di vita di un’opera, etc. In un corpus ampio di lavori, caratterizzato da approcci eterogenei, di cui è possibile farsi un’idea attraverso gli indici bibliografici stilati dal Film Festival Research Network fondato nel 2008,[1] poco spazio è dedicato alla specificità del contributo femminile all’interno del circuito festivaliero e al significato da conferire a questa presenza. Di solito la ricerca si concentra sul piano delle rappresentazioni, ossia sulle modalità con le quali le donne vengono raffigurate nei film che partecipano ai festival, mentre la cronaca mondana dedica particolare attenzione alla donna in quanto corpo: ‘madrina’ dell’evento, icona della moda, presenza affascinante e in grado di catalizzare i flash molto più degli uomini. Quasi mai, invece, si indaga sull’entità e sulla qualità della presenza femminile sul piano organizzativo e professionale. Tale mancanza si spiega anche alla luce dell’assenza di archivi specifici sui e dei festival e alla scarsità di dati su pubblico, profili professionali, impatto sul territorio di questi eventi, etc., come se la natura effimera e transitoria dei festival producesse, automaticamente, una scarsa attenzione conservativa e analitica.

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