Il continuo transito del Sé nei media lascia innumerevoli tracce in rete che, grazie al lavoro incessante di algoritmi in grado di elaborare molte variabili velocemente e con poche risorse computazionali, vengono restituite come personal data: le informazioni generate tramite dispositivi digitali, app, sensori traducono il Sé in numero, entità quantificata, sempre passibile di misurazione. In questo quadro, attraversato da una notevole attenzione bibliografica che va dall’apripista The Quantified Self: A Sociology of Self-tracking (2016) di Deborah Lupton al recente Capitale algoritmico (2020) di Ruggero Eugeni, le forme di autoconfigurazione del Sé attraverso le nuove tecnologie perdono progressivamente la dimensione ‘auto’, intesa come processo che il soggetto compie da sé in autonomia, per acquisire quella più radicale di processo automatico di definizione dei nostri vissuti. Sguardi non umani, machine vision, tracciabilità delle nostre esistenze sembrano segnare la strada verso forme di automatismo sempre più invasivo e totalizzante.
Ma se provassimo a ragionare da un’altra prospettiva, da un altro punto di vista, cioè quello del soggetto e non più solo quello della tecnologia, ribaltando la prospettiva di indagine e chiedendoci cosa succede all’umano nello sguardo ‘non umano’? Probabilmente si aprirebbe la possibilità di raccogliere molte storie di resistenza.
Dear Data è un progetto artistico di Giorgia Lupi e Stefanie Posavec composto da 104 cartoline che le sue information designers si sono spedite tra il settembre 2014 e il settembre 2015 da una parte all’altra dell’Atlantico per raccontare all’altra (e a se stessa) un anno di vita e imparare a conoscersi. Il progetto rimanda alla riflessione sui data, la soggettività e le forme di rappresentazione del Sé che si è imposta nel contemporaneo, e che per molti aspetti è stata rilanciata dal Quantified Self Movement. Fondato nel 2007 da due editor della rivista «Wired», Gary Wolf e Kevin Kelly, il Quantified Self Movement sostiene la conoscenza di sé attraverso i numeri, per un verso promuovendo l’incorporazione dei wearable device e delle pratiche di self-tracking nelle più disparate attività quotidiane per monitorare dati, performance, stati d’animo personali; per l’altro sostenendo la condivisione pubblica dei dati, dei metodi e dei significati ad essi attribuiti attraverso il sito e la social community.