Abstract: ITA | ENG

Il saggio si fonda sull’analisi drammaturgica e performativa di Le sorelle Macaluso, quarto tassello della «Trilogia della famiglia siciliana», per cui la tetralogia del mondo classico assume le valenze contemporanee d’una alternanza o contaminazione di riso e di pianto, confermando il tragicomico come tratto distintivo del teatro della Dante e del suo rinnovato, ma anche riconoscibile, ensemble. È possibile, infatti, ritrovarvi attori co-autori fondativi assieme alle reclute, che la formazione implacabile eppure amorosa della capo ciurma rende capaci di sfinirsi senza perdere in scena il controllo del proprio corpo come delle emozioni. Si mostra, quindi, come certi riferimenti ad autori e registi rivoluzionari del panorama internazionale novecentesco e odierno (Kantor o il Tanztheater della Bausch) siano da ridimensionare alla luce d’una concretezza metamorfica e psicofisica che affonda le radici nella cultura originaria dell’artista siciliana, riemergendo attraverso segni che, attraverso l’evocazione d’un mondo teatrale in cui risalta la confidenza atavica fra vivi e morti, raggiungono effetti di straordinaria e peculiare originalità.

The essay aims to provide a dramaturgical and performative analysis of Le sorelle Macaluso, the fourth piece of the "Trilogy of the Sicilian family" by Emma Dante, that give to the classical pattern of tetralogy some contemporary values, such as the alternation or contamination of laughter and crying, and that confirms the tragicomical register as a distinctive feature of Emma Dante and her renewed, but recognizable, ensemble. It is possible, in fact, to find here again actors and co­founders together with new recruits, enabled to tire out without losing control of their body and soul thanks to the relentless yet loving training of the crew chief. It is therefore shown how certain references to revolutionary artists of the twentieth-century scene (Kantor or Pina Bausch, above all) are to be scaled down in the light of a metamorphic and psychophysical concreteness which has its roots in the original culture of Emma Dante, and re­emerge through signs of astounding and peculiar effectiveness, through the evocation of a theatrical world in which the primordial confidence between living and dead stands out.

1. Il cerchio magico

Sull’orlo del buio, un buio che inghiotte e risputa le creature d’una famiglia dantiana, stavolta confusa fra vivi e morti, s’anima la «liturgia» performativa di Le sorelle Macaluso;[1] prevale, infatti, in questa mPalermu rievocata e riscritta alla luce della stessa ribalta/soglia invalicabile dagli astanti, la penombra, perché il ‘personaggio in più’ è appunto la Morte, che fin dall’inizio (nascostamente) genera personaggi/persone intesi a lottare fra di loro e soprattutto con essa per sopravvivere nella sfera d’una memoria individuale e collettiva, che ha il senso d’una rivalsa più che tradizionale, antropologica dell’Opera dei Pupi. Quella simulata da quattro personaggi nerovestiti: dopo l’a solo d’una quinta ballerina, attratta e respinta da un crocifisso (come la Madre di Vita mia), le marionette umane duellano con spade e scudi d’argento di fattura artigianale, che deposti a terra, sul filo del boccascena, assomiglieranno a lapidi luccicanti.

La struttura dell’opera è circolare, con la danza della quinta morta – ma ancora non lo sappiamo, e neppure lei lo sa – s’apre, con la sua danza si chiude, cambiando di segno: fluida e piena di grazia all’inizio, sebbene la ballerina indossi pantaloni, camicia e scarpe nere che potrebbero impacciarne i movimenti; segmentata da una basica rigidità, da marionetta o pupo, alla fine, sebbene Maria (è il nome della sorella defunta) si spogli via via della divisa a lutto, raggiuga una nudità lunare per infilarsi, a fatica, in un candido tutù di tulle. Ma è proprio quel costume che le rivela, nell’epilogo, che «allora ’stu funerale» è il suo («Sugno io?», p. 83); perché, recita la didascalia, «Tutti i morti indossano il vestito dell’ultimo istante della loro vita che corrisponde al loro desiderio, al loro sogno» (ibid.).

* Continua a Leggere, vai alla versione integrale →