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  • «Noi leggiavamo…». Fortuna iconografica e rimediazioni visuali dell’episodio di Paolo e Francesca fra XIX e XXI secolo →

 

Al momento della sua uscita nel 1950, il film Paolo e Francesca si inserisce in modo emblematico (sebbene in una posizione, per così dire, ‘defilata’) all’interno delle complesse dinamiche che caratterizzano l’industria cinematografica del secondo dopoguerra [fig. 1]. Com’è noto, negli anni immediatamente successivi al 1945 la cinematografia italiana è abbastanza «malconcia» (Spinazzola 1974, p. 60), con il cosiddetto neorealismo ‘maggiore’ che spesso fatica a fare presa sul pubblico e l’alluvione di storie, divi ed emozioni provenienti da oltreoceano. A parte la buona tenuta del genere comico, e in particolare il grande successo dei film con Totò, le «serie più tipiche e massicciamente presenti sul mercato in quel periodo» sono certamente «quelle del feuilleton in costume e del cinema lirico» (Aprà 1976, p. 41; si vedano anche: Morreale 2011, pp. 119-125; Spinazzola 1974, pp. 56-67, tra gli altri). Al volgere del decennio, tuttavia, la relativa fortuna del film-opera e del melò storico tratto dai (o modellato sui) romanzi d’appendice ottocenteschi si esaurisce (o, quanto meno, si ridimensiona), a favore del nuovo filone del melodramma familiare ambientato in epoca contemporanea. Grazie all’incredibile risultato al botteghino della trilogia composta da Catene (1949), Tormento (1950) e I figli di nessuno (1951), diretti proprio da Matarazzo per la Titanus – che incassano rispettivamente 750, 730 e 950 milioni di lire nella loro stagione di uscita (Spinazzola 1974, p. 70) –, nei primi anni Cinquanta il melodramma diventa quindi il genere più apprezzato dai pubblici italiani, arrivando quasi a pareggiare la popolarità dei film americani (Sorlin 1996, p. 107).

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