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A un decennio dalla pubblicazione del Dizionario degli Studi Culturali,[1] il convegno internazionale Studi culturali in Italia. Reloaded. Dieci anni di ricerca a Palermo 2003-2013 (Palermo, 24-27 febbraio 2014) ha messo a confronto prospettive e temi che animano oggi il dibattito sui Cultural Studies nel nostro Paese. Uno sforzo ancora oggi problematico, dato che la fluidità e l’ampiezza degli oggetti di studio non si prestano a una mappatura agevole ed esaustiva. Dieci anni fa il Dizionario rappresentava il tentativo di scrivere una cartografia provvisoria degli Studi Culturali che, a fronte di una consolidata tradizione di area anglosassone e tedesca, stentavano a penetrare tra gli steccati della rigida differenziazione disciplinare dell’accademia italiana. In questo senso, il Dizionario e il lavoro di ricerca coordinato da Michele Cometa (Università di Palermo) hanno avuto il merito non solo di tradurre in italiano – meglio sarebbe dire transitare verso l’Italia – il lessico e gli oggetti di studio dei Cultural Studies e della Kulturwissenschaft (ad esempio il Border crossing o i Jewish Studies), ma di creare un paradigma culturalista italiano in grado di utilizzare strumenti nuovi e di costruire voci nuove. Si pensi a questo proposito alla cultura materiale e alla microstoria, le quali hanno spinto verso un’analisi che privilegi il frammento e il fatto singolo rispetto a una visione generale e univoca della storia. O, d’altra parte, si pensi alle ricerche semiotiche che hanno preso in esame prodotti mediali (fotografie, pubblicità, trailer, telegiornali), spazi urbani, artefatti e immagini considerandoli come testi e studiandone i modi di funzionamento, le strategie di costruzione, le trasformazioni interne e le procedure di traduzione in testi ulteriori.[2]

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