È ben conosciuta l’interpretazione psicanalitica della violenza negli anni di piombo, secondo cui lo Stato si identifica con una figura paterna da rinnegare. In questa rappresentazione degli anni Settanta, l’eliminazione fisica di importanti personalità istituzionali rimanda ad un’analogia non solo con il rifiuto dell’autorità del padre, ma con tutto il sistema gerarchico che veniva messo in discussione dal clima di contestazione e, successivamente, dalla lotta armata. Come ha scritto Raffaele Donnarumma, «è con l’omicidio di Aldo Moro che lo schema del parricidio viene promosso a mito tragico sotto il quale mettere un’intera epoca della storia repubblicana»,[1] considerazione che lo stesso Donnarumma invita a rileggere non solo in relazione alla figura di un padre oppressivo, ma anche a quella di un’autorità evanescente. La controversa ricostruzione storica degli anni del terrorismo ha anche generato, in narrativa, significative aperture al modo fantastico. Per esempio, il ritorno spettrale di un passato con cui non si sono chiusi i conti e l’ingiusto oblio caduto su alcune vittime si manifestano spesso, nel genere romanzo, attraverso la caratterizzazione di un fantasma. In particolare gli studi di Federica Colleoni hanno fatto emergere una chiara relazione fra aspetti perturbanti e finalità sociali in alcuni romanzi sugli anni di piombo pubblicati negli anni Zero, e la figura dello spettro è stata studiata nelle declinazioni narrative di chi riappare allo scopo di dar voce a problematiche mai affrontate fino in fondo.[2] Metterò al centro di questo saggio una tendenza che, pur rifacendosi ad alcuni degli schemi sopraelencati, si distingue in modo originale, in anni ancora più recenti, nella produzione di romanzieri importanti: l’intersezione tra fotografia, violenza politica, elementi fantastici e storia degli istituti psichiatrici prima della legge Basaglia.