1.2. Charta sporca. Lo sguardo della poesia

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Care amiche, cari amici di «Arabeschi»,

ho pensato a lungo alla vostra proposta e alla fine ho deciso di mandarvi quattro fotografie di pagine di poesia. Proprio così: ho riprodotto quattro pagine del libro di Pasolini che mi è più caro, pagine un po’ ingiallite, che la riproduzione restituisce nella materialità della grana della carta, delle pieghe e degli svolazzi, con le mie sottolineature e qualche nota a margine.

Alcune righe di giustificazione, ve le devo.

In nessun luogo come nella poesia vedo manifestarsi in modo così netto la facoltà di Pasolini di ‘vedere le cose’ e di essere ‘visionario’: da qui, e non da altro, viene quello che avete chiamato il suo «spiccato interesse per la dimensione visuale».

In una nota (1962) in margine a La rabbia, riprodotta in Le regole di un’illusione, Pasolini dichiara:

Tutti i miei film si ricollegano all’atmosfera delle mie poesia, assai più che a quella dei miei romanzi. Anzi si riallacciano alle mie prime poesie, ed anche questo è spiegabile poiché si tratta dei miei “primi film”. Quando la mia esperienza cinematografica maturerà, anche i miei film avranno i toni e le eco delle mie poesie artisticamente più evolute.

C’è quindi in Pasolini, fin dai primi anni della sua attività cinematografica, la coscienza che essa si colloca nell’alveo della sua esperienza poetica.

Ricordo quello che Moravia disse, subito dopo la morte dell’amico: hanno ammazzato un poeta (cito a memoria). Non ha detto un intellettuale, un regista, un polemista. Ha detto un poeta.

Si impoverisce la portata di tutto quello che Pasolini ha fatto nella critica, nel romanzo, nel cinema e nel giornalismo se non si parte dal suo modo originario di esprimersi nella poesia, di vedere attraverso lo sguardo della poesia. Ho messo in quest’ordine i generi nei quali si è espressa l’attività artistica e intellettuale di Pasolini perché, secondo una scala di valore e importanza, io metto al primo posto la poesia e, di seguito, la critica letteraria, il romanzo, il cinema e, infine, il giornalismo.

Penso che la poesia di Pasolini sia stata scandalosamente lasciata da parte a vantaggio degli aspetti più vistosi e più spettacolari della sua persona e della sua opera.

Proprio per questo, vi propongo di inserire nella galleria di immagini che state approntando quattro immagini di pagine di poesia. Le ho riprodotte dalla mia copia di Poesie (Garzanti, Milano 1975) che è in assoluto il libro di Pasolini che ho più letto e consultato in questi anni, anche quando per professione mi sono occupato del suo cinema, anche quando tutti (o quasi tutti) parlavano d’altro.

 

Gli affreschi di Piero a Arezzo

È la prima sezione del poemetto La ricchezza (1955-1959), incluso in La religione del mio tempo, Garzanti, Milano 1961. Sono i versi dedicati alla descrizione degli affreschi delle Storie della vera Croce (1452-1466) di Piero della Francesca, conservati nella Basilica di S. Francesco ad Arezzo. In questi versi Pasolini sembra voler gareggiare con il suo maestro Roberto Longhi nell’arte dell’ekphrasis, ovvero l’arte di rendere le immagini attraverso le parole. Segnalo che nel documentario di Marco Rossitti, Un "capriccio dolcemente robusto". Realismo e manierismo nell'universo figurativo di Pier Paolo Pasolini (1995), è possibile ascoltare un sorprendente documento sonoro: la voce di Andrea Zanzotto, un altro grande poeta ‘visivo’, che legge i versi di questa sezione, mentre sullo schermo passano le immagini degli affreschi di Piero.

 

La religione del mio tempo

I versi da me sottolineati si riferiscono al periodo in cui Pasolini collaborò con Federico Fellini, dapprima a Le notti di Cabiria (1957), quindi a La dolce vita (1960). Ecco la nota di Pasolini stesso: «La persona con cui “andavo per l’oscura / galleria dei viali, una notte, al confine / della città, battuta dalle antiche anime / perdute, sporchi crocefissi senza spine …”, fino a raggiungere il mare a Torvajanica, è Federico Fellini». Per quanto il nome di Pasolini non sia accreditato nei titoli di testa della Dolce vita, è noto che egli scrisse la sceneggiatura di alcuni episodi che poi non furono realizzati, o realizzati altrimenti da come erano stati scritti da Pasolini. In particolare, deriva sicuramente da Pasolini lo spunto del quadro di Morandi in casa Steiner. Nello script di Pasolini, pubblicato da Walter Siti nella monumentale raccolta delle opere dei Meridiani, Marcello chiede a Steiner «Com’è questo libro di Longhi sul Caravaggio?». Nella sceneggiatura di Fellini, Flaiano, Pinelli e Rondi, pubblicata nella collana “Dal soggetto al film” dell’editore Cappelli, Marcello chiede a Steiner: «Com’è questa traduzione francese di Merton?». Nella versione definitiva del film, cade il riferimento a un libro (Longhi o Thomas Merton), sostituito da una riflessione di Steiner su una natura morta di Morandi, sollecitata da Marcello («Ho visto che hai un magnifico Morandi»). Infatti, tra i vari quadri presenti in casa Steiner, lo script di Pasolini prevedeva anche «un piccolo, stupendo Morandi, tutto rosa e grigi».

 

La Guinea


Il poemetto La Guinea (1962), incluso nella raccolta Poesia in forma di rosa, Garzanti, Milano 1964, è probabilmente il più ‘cinematografico’ dei testi poetici di Pasolini: vi si trovano suggestioni che saranno poi sviluppate nei suoi film successivi, in particolare nella Trilogia della vita. Va ricordato che La Guinea ebbe un’edizione in disco (RCA, 1962), nella quale il poemetto viene letto dallo stesso Pasolini. La dimensione orale della poesia, da lui spesso collegata all’immagine cinematografica, costituisce un momento essenziale del laboratorio pasoliniano: penso in particolare ai versi scritti per La rabbia (1963), dove le immagini di repertorio dei cinegiornali del dopoguerra sono commentati dalla «voce della poesia» (impersonata in questo caso da Giorgio Bassani, lo stesso che doppia Orson Welles in La ricotta (1963), in cui il regista interpretato da Welles legge dei versi di Pasolini:

 

Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
[…]

 

Una disperata vitalità

Nel poemetto Una disperata vitalità, inserito nella raccolta Poesia in forma di rosa (Garzanti, Milano 1964), Pasolini mette in scena un percorso in auto da Fiumicino (dove ha accompagnato l’amico Moravia) a Roma: come in un flusso di coscienza, Pasolini alterna osservazioni sul paesaggio, considerazioni su resti e rovine che ormai nessuno più comprende, dei flash-back di una sorta di ‘diario intimo’ degli anni di Casarsa e una divertente prefigurazione di un’intervista che sta per concedere a una giornalista di destra (in cui ritroviamo gli accenti e le impennate dell’intervista di Orson Welles con il giornalista-uomo medio nel film La ricotta). Il poemetto, che ha il suo motivo conduttore nell’anafora «Come in un film di Godard», ci appare come un corpo a corpo tra la forma poetica e la sintassi cinematografica. Il tema centrale è così enunciato:

 

La morte non è
nel non poter comunicare
ma nel non poter più essere compresi.
 

E subito dopo replicato:

 

Non è nel non comunicare [la morte]
Ma nel non essere compresi.
 

E ancora:

 
«Ah, ah – [è la cobra con la biro che ride] – e …
Chi è che non comprende
«Coloro che non ci appartengono più».

 

In forma di dialogo con la giornalista che lo intervista, Pasolini spiega il senso della sua svolta stilistica, in una direzione a partire dalla quale non è più la tradizione poetica, ma sono i tempi e le cadenze della sintassi cinematografica a guidare la sua scrittura:

 

[… ] «Mi dice che cosa sta scrivendo?»..
«Versi, versi, scrivo! Versi!
(maledetta cretina,
versi che lei non capisce priva com’è
di cognizioni metriche! Versi!)
versi! Non più terzine!
[…]
Questo è quello che importa: non più terzine
[…]
Sono quasi tutte liriche, la cui composizione
Di tempo e luogo
Consiste, strano!, in una corsa in automobile …
Meditazioni dai sessanta ai centoventi all’ora …
Con veloci panoramiche, e carrellate,
a seguire o a precedere
[…].

 

 

 

Bibliografia

P.P. Pasolini, Poesie, Milano, Garzanti, 1975.

P.P. Pasolini, Le regole dell’illusione. I film, il cinema, a cura di L. Betti e M. Galinucci, Roma, Associazione “Fondo Pier Paolo Pasolini”, 1991.

P.P. Pasolini, La dolce vita, in Id., Per il cinema, a cura di W. Siti e F. Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, II, pp. 2299-2344.