Emma Dante (Palermo, 1967) è drammaturga, regista teatrale e cinematografica. A quasi vent’anni dalla fondazione della compagnia Sud Costa Occidentale (1999), la sua ricerca espressiva è riconosciuta come una delle esperienze più rilevanti nel panorama internazionale del teatro contemporaneo. Il suo linguaggio è segnato da tratti ormai inconfondibili, quali il movimento corporeo degli attori come primo veicolo di tensione, l’uso della lingua siciliana praticata come grammelot, la necessità di rappresentare la famiglia come microcosmo che si fa rifugio ma anche prigione.
Prima di consacrarsi al mestiere di drammaturga e regista, Emma Dante conosce il teatro in veste di attrice, partecipando un anno alla scuola Teatés di Michele Perriera a Palermo e, successivamente, diplomandosi come attrice all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma nel 1990. Gli anni immediatamente successivi sono fondamentali: entra in contatto con il teatro d’avanguardia, assistendo agli spettacoli dell’Odin Teatret e di Tadeus Kantor, e, a Torino, comincia a lavorare nel consorzio di compagnie “Canto per Torino” diretto da Gabriele Vacis, il quale contribuirà a segnare il suo linguaggio teatrale. Decisiva è inoltre la frequentazione del laboratorio di canto, condotto da Cesare Ronconi, nel quale ha l’opportunità di conoscere l’attrice Valeria Moriconi e di capire che «fare l’attrice vuol dire vivere in un’altra dimensione fatta di negazione della vita privata, essere sempre in viaggio e quindi vivere ogni volta in un posto diverso». Tornata in Sicilia, deciderà di trasferirsi definitivamente a Palermo e di fondare, con un gruppo di attori, la compagnia “Sud Costa Occidentale”, della quale sarà drammaturga e regista.
La prima opera che segna il successo della compagnia e che varrà ad essa il Premio Scenario e il Premio Ubu è mPalermu (2001), che forma la Trilogia della Famiglia, insieme a Carnezzeria (2002) e Vita Mia (2003).
Nel 2003 lo spettacolo Medea, al quale prenderanno parte Iaia Forte e Tommaso Ragno, inaugura quel filone della sua drammaturgia dedicato alla rivisitazione dei miti greci, di cui faranno parte Verso Medea (2014), Odissea A/R (2015) e Io, Nessuno e Polifemo (2015).
Altre tappe fondamentali della ricerca artistica della regista sono La Scimia (2004), aspra critica al culto religioso cattolico ispirata al racconto Le due Zittelle di Tommaso Landolfi, Cani di Bancata (2006), con cui si confronta per la prima volta con il tema della mafia, Mishelle di Sant’Oliva (2006) e Il Festino (2007), due spettacoli che confermano il suo profondo interesse a esplorare luci e ombre della famiglia, che si fa emblema di ogni nucleo sociale.
Le pulle (2010) porterà avanti, attraverso un linguaggio originale a metà tra operetta e musical, l’esplorazione del tema della prostituzione iniziata già con Mishelle di Sant’Oliva.
Nel 2011 torna alla forma trialogica con Acquasanta, Il castello della Zisa e Ballarini che, attraversando i temi della povertà, della malattia e della vecchiaia, compongono la Trilogia degli occhiali.
Nel quadro delle sperimentazioni di Dante Le sorelle Macaluso rappresenta sicuramente uno spettacolo emblematico(2014): come già accaduto in Vita mia, il tema della morte assume, qui, una posizione centrale e pregnante. La dimensione dei vivi è costantemente segnata dalla presenza dei morti celebrati nel ricordo ossessivo e nel rito funebre. La forte valenza espressiva e simbolica, alimentata ancor di più dai corpi degli attori disposti in una schiera e animati da un movimento quasi ‘marionettistico’, è valsa allo spettacolo due premi Ubu per miglior regia e miglior spettacolo dell’anno.
Bestie di scena (2017) è una tappa ‘inusuale’ rispetto alle altre produzioni. Qui Dante decide di esplorare le dinamiche del processo creativo, affidandosi a un ensemble di attori e attrici di straordinaria tensione fisica. I performer si trovano a reagire a una serie di stimoli e provocazioni, si votano a partiture gestuali di grande intensità e rigore e restituiscono l’universalità della condizione umana. La nudità dei corpi si fa segno assoluto, costringe lo sguardo degli spettatori a rinegoziare il senso dell’opera, senza mediazioni.
La Scortecata (2017), la cui drammaturgia s’ispira alla fiaba popolare La Vecchia Scorticata di Giambattista Basile, è una riflessione sulla stagione finale della vita, segnata dalla vecchiaia e dalla solitudine che le protagoniste della storia – due sorelle brutte e decrepite, interpretate da due attori maschi – tentano disperatamente di contrastare, ricorrendo a metodi assurdi. La scelta di misurarsi con la fiaba si inscrive prepotentemente nel dna della regista, orientata fin dagli esordi al recupero del mito come radice del mondo.
Dentro il caleidoscopico orizzonte di Emma Dante c’è spazio anche per l’opera lirica, genere apparentemente ‘rigido’ e impenetrabile che la regista giunge a riscrivere grazie a forti investimenti visivi. Tra le produzioni più riuscite e discusse è il caso di annoverare la Carmen di Bizet (2009), la Cenerentola di Rossini (2016) e il Macbeth di Verdi.
Via Castellana Bandiera (2013), tratto dall’omonimo romanzo pubblicato da Rizzoli nel 2008, segna l’esordio di Dante nella regia cinematografica. L’approdo sul grande schermo le offre la possibilità di mettere a fuoco una diversa prospettiva di sguardo e racconto, in grado di aderire alla superficie del reale e, contemporaneamente, di sperare la soglia del visibile. Qui i personaggi e le personagge incarnano quel sentimento di immobilità e di impotenza su cui a lungo si è soffermata l’attenzione della regista.
Attualmente, dopo il successo riscosso da Via Castellana Bandiera, sta lavorando a un nuovo film tratto dalla pièce Le sorelle Macaluso, spettacolo che a tre anni dalla sua nascita continua a ricevere premi e a girare per i teatri di tutto il mondo.