Il volume di Annamaria Cascetta European Performative Theatre. The issues, problems and techniques of crucial masterpieces (Routledge, 2020) – ultimo esito di un filone di ricerca avviato dalla studiosa con la curatela di Il Teatro verso la performance (Vita e Pensiero, 2014), ma profondamente radicato nei suoi studi precedenti relativi alla tragedia europea contemporanea e, ancor prima, all’opera di Samuel Beckett – sceglie di indagare una macrotendenza nel modo di considerare e fare teatro tra l’ultimo XX secolo e le prime decadi del XXI: quella del ‘teatro performativo’. Tendenza che – ad un primo sguardo storico-analitico – sembra coinvolgere artisti di notevole impegno estetico, senso di responsabilità e autenticità culturale, antropologica, etica e politica, nutrendosi delle fondamentali acquisizioni del teatro sperimentale e di ricerca degli anni Sessanta e Settanta, ma divergendo dalla provocazione e dall’auto-referenzialità comunque presenti in alcune manifestazioni del teatro d’avanguardia appartenenti alle decadi passate.

Negli artisti che praticano il teatro performativo sembra infatti prevalere, pur nella condizione di indipendenza e insubordinazione nei confronti dell’industria culturale, una ferma consapevolezza della propria ‘differenza’ che non si identifica, però, in alcun atteggiamento ‘aristocratico’ di isolamento o iniziazione per pochi. La partecipazione dello spettatore si pone infatti al centro del processo creativo, diventandone anzi parte integrante, come può esserla, ad esempio, la creazione collettiva, che coinvolge direttamente gli attori nell’elaborazione della partitura fonica e corporea; la presenza dei media, poi, collabora alla scrittura scenica come vero elemento attivo nella costruzione dei significati. Ben posizionato nel mondo di oggi, il teatro performativo si considera pertanto erede della grande, millenaria tradizione teatrale, che funge da specchio, coscienza, allarme e progetto della comunità con la quale si relaziona.

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«Iniziativa» è una parola che implica coraggio, oggi. Racchiude in sé la potenza del ‘dare origine’ a qualcosa, la forza di intraprendere una strada; indica la capacità di promuovere. È la ‘spinta’, interna o esterna, che serve per incominciare e ‘dare il via’.

Non si può dire che l’iniziativa sia mancata a Corrado D’Elia nell’ideare questa prima edizione del Festival Internazionale della Regia – sottotitolato Dalla regia critica alla critica della regia e premiato con la Medaglia del Presidente della Repubblica –, svoltasi a Milano, dal 24 al 26 marzo scorsi. Aiutato da Valentina Capone e Alberto Oliva, D’Elia ha messo in moto la macchina organizzativa del Teatro Libero di Milano e ha richiamato registi, critici del teatro e giornalisti, operatori teatrali, studiosi e docenti universitari di spicco del panorama teatrale italiano e europeo del momento. Così, un pubblico assai eterogeneo, ma il cui comune denominatore è la passione per il teatro, è stato accolto e guidato a una riflessione partecipata sul senso della regia teatrale oggi, tematica vasta, ma bene esplorata lungo tutte e tre le giornate di incontri, che sono terminate con un vero e proprio Fringe Festival, che ha visto alcuni tra i registi emergenti della scena nazionale.

Molte le domande poste e su cui gli ospiti e i relatori sono stati chiamati a riflettere; otto le grandi tematiche che le contenevano e le suggerivano: il teatro di regia oggi; il rapporto tra regia e drammaturgia; il binomio rappresentazione e performatività; regia e pedagogia (la figura del Maestro); la regia contemporanea tra pubblico, critica e nuovi media; il teatro italiano e il confronto con l’Europa; declino o metamorfosi della regia?; il teatro tra sopravvivenza, critica e pubblico.

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