Di cosa parliamo quando parliamo di realismo e come sono fatti, negli ultimi anni, i testi più programmaticamente basati sulla commistione di convenzionalità di genere e mimesi del particolare? Sembra un po’ questo l’interrogativo di fondo del volume miscellaneo Finzione Cronaca Realtà. Scambi, intrecci e prospettive nella narrativa italiana contemporanea, curato di Hanna Serkowska.
Considerata l’ampiezza della questione e l’impossibile chiusura del cerchio tra analisi differenti di differenti retoriche intorno al rispecchiamento e alla rappresentazione degli eventi, il compito è arduo. Forse anche per questo il volume inizia con un’articolazione generale entro la quale Alberto Casadei e Raffaele Donnarumma tentano di definire e aggiornare il concetto di realismo in «Realismo e allegoria nella narrativa italiana contemporanea» e «Angosce di derealizzazione». Mentre Casadei nomina e classifica i procedimenti allegorici oggi dominanti in rapporto al loro tasso di funzionalità mimetica, Donnarumma esemplifica alcuni tentativi di uscita dall’impasse novecentesca e denuncia le precauzioni residuali alla base di un’etichetta iper-inclusiva come non-fiction: fondare quella che ha la pretesa di essere una vera e propria macrocategoria sul rovesciamento di una negazione (il contrario di ciò che non è vero) sembra in effetti una misura di profilassi compulsiva, un riflesso controintuitivo prolungato e ribadito sino a diventare senso comune.
Che parte del discorso sotteso a tutti i saggi conservi un’aura quasi teoretica resta comunque inevitabile. Focalizzandosi sul versante mimetico-rappresentazionale, infatti, si finisce con una certa frequenza a chiedersi cosa siano la mimesi e la rappresentazione, e perché produrle sia urgente o anche solo legittimo in certi tempi e luoghi. Un’ottima spia a questo proposito è l’articolo che segue quelli di Casadei e Donnarumma, in cui Margherita Ganeri diagnostica una «allergia al concetto di realtà», constatando come le polemiche seguite al numero 57 di «Allegoria» si articolassero in modi tutto sommato pretestuosi per arretrare di fronte alla questione malauguratamente detta ‘del ritorno alla realtà’. Ecco quindi che i primi tre articoli, presi nel loro complesso, segnalano che esiste – in questo tempo e in questi spazi – un collegamento tra evento e racconto; che anche le parole scritte, nell’etere attualmente dominato dalla visività più o meno interattiva, possono denunciare e dire ‘l’aspra verità’; che il buon ritiro della critica e della narrativa in un dominio estetico separato è una scelta avvilente, a fronte di uno scontro aperto tra la testimonianza come urgente gesto etico e la proliferazione di grandi narrazioni niente affatto deboli.