Quando scrive Conversazione in Sicilia Elio Vittorini ha trent’anni, è autore di un romanzo – Il garofano rosso – che è stato sequestrato dall’autorità fascista e vorrebbe partire per la Spagna accanto ai repubblicani. Di lì a poco, nel 1939, si trasferirà a Milano, città che non abbandonerà più; nel ’41 esce l’edizione Bompiani della Conversazione, quando si pubblica anche l’antologia Americana, con i testi tradotti dallo scrittore ma senza le sue note di commento. Conversazione in Sicilia precede dunque Uomini e no, dedicato ai giorni convulsi della guerra in pagine dettate dalla clandestinità e dall’urgenza di raccontare, e disegna piuttosto un affondo nella memoria, una sorta di nostos nel tempo dei ricordi che ne rilancia i motivi nel presente e di lì a poco nella lotta, e nella scrittura, della Resistenza.
1. Mappare la memoria
Il racconto del viaggio di Silvestro, il narratore, verso il paese natale, e dell’incontro con la madre dopo quindici anni di lontananza, assume movenze quasi dantesche nell’alternarsi continuo di sonno e veglia («mi addormentai, mi risvegliai e tornai ad addormentarmi, a risvegliarmi, infine fui a bordo del battello-traghetto per la Sicilia», Vittorini 1966, p. 11), così da disegnare sulla pagine una sorta di mappa del ricordo lungo una regressione memoriale in una «quarta dimensione» di una «Sicilia ammonticchiata di spiriti» (p. 92) che mescola lo sguardo del presente alle suggestioni deformate delle memorie d’infanzia. Così Vittorini: