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"Interferenze. Poeti d'oggi e arti della visione" si propone come uno spazio di analisi dei rapporti tra visualità e verbalità nelle opere di poetesse e poeti italiani delle generazioni più recenti. Un esperimento condotto con l’immagine ‘a fronte’, attraverso un confronto diretto tra la pagina e l’opera visiva che l’ha ispirata. Costituendosi come ‘serie’ di contributi, "Interferenze" si prefigge un duplice obiettivo: sottolineare la centralità di questi temi in alcune esperienze della migliore poesia italiana contemporanea e, insieme, offrire ai lettori di «Arabeschi» un sia pur essenziale panorama delle voci che animano l’attuale scena della scrittura in versi, implicitamente evidenziandone la varietà e ricchezza di esiti e toni.

 

 

 

 

II

Abbandonati interamente alle tue ossessioni. Tanto non hai certo nulla di meglio. Le ossessioni sono relitti dʼinfanzia. Ed è proprio dalla profondità dellʼinfanzia che hanno origine i tesori maggiori.

Jan Švankmajer, Decalogo

 

Alice inseguita, Alice minacciata, Alice ‘disambientata’, come la vedeva Gianni Celati: ma, soprattutto, Alice incantata, in bilico tra sogno e realtà, bambina-bambola che parla poco, impara molto dal silenzio e posa sul mondo uno sguardo ora partecipe, ora pietrificato. Il testo sopra riprodotto, che apre la sezione Down the rabbit hole della raccolta Nel sonno di Francesca Matteoni – titolo che richiama, forse involontariamente, una delle più belle, visionarie e inquietanti tele del primo Novecento italiano: Nel sonno di Alberto Martini – trae ispirazione dai capolavori di Lewis Carroll Aliceʼs Adventures in Wonderland e Through the Looking-Glass, ma con una decisiva mediazione proveniente dal mondo visuale. Mi riferisco allʼinterpretazione/riscrittura che, degli Alice Books, ha dato uno dei maggiori autori del cinema contemporaneo, il regista ceco Jan Švankmajer, con il suo capolavoro Alice (Nêco z Alenky), traducibile come Qualcosa di Alice (1987).

Sprofondata nel rebus del sogno, Alice ripetutamente si stropiccia gli occhi, mentre una folla di immagini enigmatiche assedia la sua coscienza fluttuante. Gli animali «fatti dʼosso» e «con qualche lancetta fuori posto» dei primi versi ci introducono senza indugi nel mondo bizzarro e per molti versi raccapricciante che caratterizza lʼarte – non solo filmica –[2] di Švankmajer, un universo abitato da presenze inquietanti, assemblate da un cattivo demiurgo che pare essersi divertito a fondere, con macabra inventiva e una buona dose di humour noir, parti meccaniche e frammenti di scheletri, incollando occhi posticci su crani animali e mettendo le briglie a volatili impagliati.

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