Il miracolo che molti appassionati lettori delle parole e delle immagini firmate da Dino Buzzati aspettavano sembra essersi compiuto quest’anno con la nuova edizione dell’ultimo libro dello scrittore bellunese. I miracoli di Val Morel torna infatti nelle librerie, dopo aver circolato fra le mani dei pochi fortunati estimatori che nel ’71 riuscirono ad acquistare uno dei volumi ‘fuori collana’ editi da Garzanti.

Le tavole che compongono l’originale serie dei Miracoli erano state realizzate da Buzzati su invito del gallerista Renato Cardazzo per una mostra inaugurata il 3 settembre 1970 alla galleria Naviglio-Venezia. Buzzati aveva immaginato ciascuna tela come il capitoletto di un racconto a cornice, che, inizialmente stampato nel catalogo, viene pubblicato l’anno successivo, poco prima della sua morte. Nella Spiegazione egli racconta che i suoi quadri, in realtà, sono riproduzioni di ex voto osservati in un santuario di montagna (anch’esso creato dalla sua fantasia), in Val Morel, di cui ha avuto notizie da un «quadernetto» ritrovato nella biblioteca paterna. Essi rappresentano «il classico repertorio di miracoli nostrani», all’interno del quale spunta qualche fatto «insolito e sorprendente» (p. 7). Dentro la cornice di ciascuna tavola un breve frammento ekphrastico descrive, come nel balloon di un fumetto, il miracolo realizzato da una Santa Rita che qua e là lascia intravedere qualche somiglianza, nella postura, nel volo acrobatico, «scortata dalle sue sante astronavi e angeliche schiere» (p. 90), con la fisionomia di alcuni supereroi. Nel libro inoltre ogni immagine riprodotta nella pagina destra è preceduta nella pagina a sinistra da un racconto-commento dell’autore, voice-over della microinchiesta svolta per appurare i ‘fatti’ e ricostruire l’attendibilità ‘storica’ del miracoloso evento. È qui che Buzzati lascia esplodere l’ironia, che invece nelle tavole appare trattenuta dal modo tutto suo di rappresentare il fantastico («il fantastico deve sboccare su una forma di realtà»); è qui che la sua voce si sdoppia e instaura un dialogo con il disegno partorito dal suo immaginario. Alla lettura di tale intricato gioco di riflessi fra verbale e visuale è chiamato il destinatario di questo libretto, popolato da quel bestiario che abbiamo imparato a conoscere nei racconti di Buzzati e che qui si mescola al repertorio dei mostri vecchi e nuovi dell’immaginario popolare. L’autore stesso si presenta come lettore delle immagini da lui realizzate, ora per provare l’esistenza delle creature in esse rappresentate, attraverso la testimonianza visiva attestata dal quadro («ogni volta il mostro […] fu visto di colore verdastro, o verde, o azzurro verdastro», p. 14), ora per lasciarne aperto il mistero («sono probabilmente degli enigmi di cui nessuno verrà mai a capo», p. 16).

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