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Sono centoundici i volumi monografici che compongono la collana I Classici dell’arte, editi dalla casa editrice Rizzoli tra il 1966 e il 1985. Ognuno di essi reca in apertura una presentazione dell’opera e dell’artista che in molti casi reca la firma di celebri autori della nostra letteratura contemporanea. Questo contributo si pone come un primo tentativo di classificazione delle differenti modalità di approccio messe in atto da letterati e poeti alle prese con la scrittura critica: partendo dall’individuazione di tre macrocategorie testuali si è proceduto con l’analisi degli aspetti micro-stilistici (dunque retorici, sintattici e grammaticali) e contemporaneamente sono state rilevate le analogie tematiche e formali riscontrabili tra scrittore e artista trattato.

The series I Classici dell’arte is composed by one hundred and eleven monographics, published by the publishing house Rizzoli, between 1966 and 1985. Each of them opens with a presentation of the the artist and his work, that in many cases bears the signature of famous authors of our contemporary literature. This contribution is a first attempt to classify the different methods of approach implemented by writers and poets dealing with critical writing. Starting from the identification of three textual macro-categories, we procedeed with the analysis of the micro-stylistic aspects (such as rethorical, syntactic and grammatical) and at the same time we observed the thematic and formal analogies found between the writer and the artist.

 

Tra il 1966 e il 1985 la casa editrice Rizzoli pubblica nella collana I Classici dell’Arte centoundici volumi monografici dedicati ad una selezione dei nomi più importanti della pittura europea, dai prodromi del Rinascimento italiano (Duccio, Giotto, Martini) sino ad artisti quali Toulouse-Lautrec, Schiele, De Chirico.

Particolarmente felice la scelta editoriale per cui in apertura di ogni volume la presentazione dell’artista e delle opere è affidata, talvolta sì a critici d’arte di professione, ma molto spesso a firme celebri della letteratura italiana del Novecento, istituendo una sorta di parallelo tra i grandi classici delle due arti. Oltre agli esempi indagati dal presente contributo (Flaiano e Paolo Uccello, Buzzati e Bosch, Ungaretti e Vermeer, Testori e Grünewald, Morante e Beato Angelico, Volponi e Masaccio) si citino, a titolo esemplificativo, le prefazioni di Luzi su Matisse, quella di Palazzeschi su Boccioni, di Sciascia su Antonello, di Moravia sul Picasso del periodo blu e rosa e ancora di Quasimodo su Michelangelo.

Nonostante la varietà degli esiti le tipologie testuali censite appaiono classificabili entro categorie che, sebbene non riescano a rendere conto di tutte le possibilità espressive attuate ed attuabili, funzionano comunque da utili linee guida per un approccio di tipo finalmente sistematico all’argomento. Le formule saggistiche qui individuate mostrano tre modalità differenti tramite cui questi scrittori-critici hanno affrontato il fatto artistico: si va dall’adozione di generi dichiaratamente eterodossi, come la drammatizzazione e la novella fantastica (Flaiano e Buzzati), alla più tradizionale forma saggistica, connotata però in senso fortemente personale: se in alcuni casi l’autore interpreta l’artista a partire dal proprio universo poetico-simbolico ed esistenziale in qualche modo appropriandosene (Testori e Ungaretti), in altri preferisce invece porre l’accento sugli aspetti biografici e sulla contestualizzazione storico-culturale alla ricerca di possibili punti di contatto con la contemporaneità (Volponi e Morante).

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  • Arabeschi n. 15→
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Il contributo prende in esame il lungometraggio d’animazione La famosa invasione degli orsi in Sicilia, diretto da Lorenzo Mattotti nel 2019 e basato sull’omonimo testo di Dino Buzzati. Nella prima parte il film viene letto in rapporto alla precedente produzione figurativa dell’artista bresciano, da sempre impegnato nella creazione di opere che, come il fumetto, contaminano linguaggi sia verbali che visivi. Nella seconda, invece, si analizza il legame che unisce l’operato artistico di Mattotti a quello di Buzzati, autore che, sin dalla stesura de La famosa invasione degli orsi in Sicilia nel 1945, si è distinto per aver sperimentato un’originale commistione tra parola e immagine. Avendo creato alcuni ‘scarti’ con l’opera primigenia, possiamo affermare che quella operata da Mattotti è una felice rilettura della fiaba di Buzzati, che apre il ‘mondo degli orsi’ alla conoscenza di un vasto pubblico.

This article examines the feature-length animation The famous invasion of bears in Sicily by Lorenzo Mattotti (2019), which is based on the same titled work by Dino Buzzati. In the first section, I will link Mattotti’s latest movie to the interweaving of verbal and visual languages in his previous production, especially comics. In the second, I will discuss Mattotti’s appreciation for Buzzati, one of the first Italian authors to originally interweave word and image. Then, I will analyze Mattotti's reinterpretation of Buzzati's fairy tale and his ability to communicate the symbolic complexity of the 'world of bears' to a large audience.  

Il film d’animazione La famosa invasione degli orsi in Sicilia, diretto da Lorenzo Mattotti, basato sull’omonimo testo di Dino Buzzati e apparso nelle sale italiane lo scorso 7 novembre 2019, potrebbe rientrare a tutti gli effetti, per la forza sovversiva e per l’intreccio tra memoria e ricerca, all’interno della costellazione di opere prodotte dal collettivo artistico Valvoline, fondato a Bologna nel 1983, in cui Mattotti ha mosso i primi passi insieme a Giorgio Carpinteri, Daniele Brolli, Marcello Jori, Igort e Jerry Kramsky. Pronti a saccheggiare tutto ciò che in qualsiasi ambito artistico potesse servire loro, Mattotti e gli altri hanno dato vita a un vero e proprio magazzino di oggetti unici e accostamenti singolari, come l’ideazione di un orologio prodotto da Swatch, le immagini raccolte nel volume Un weekend postmoderno di Pier Vittorio Tondelli o le uova in porcellana disegnate da Jori per Alessi. Anche il fumetto è al centro della ricerca di Valvoline e durante gli anni Ottanta le tavole a colori realizzate dal gruppo sono apparse su riviste come Alter Alter, Frigidaire, Linus e Vanity. La vocazione di questi autori pare allora straripare, trovando un terreno privilegiato per la loro ricerca irriverente nelle molteplici possibilità espressive di un linguaggio, quello del fumetto, meno legato ai canoni dell’arte ufficiale, più alternativo e controcorrente.

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Il miracolo che molti appassionati lettori delle parole e delle immagini firmate da Dino Buzzati aspettavano sembra essersi compiuto quest’anno con la nuova edizione dell’ultimo libro dello scrittore bellunese. I miracoli di Val Morel torna infatti nelle librerie, dopo aver circolato fra le mani dei pochi fortunati estimatori che nel ’71 riuscirono ad acquistare uno dei volumi ‘fuori collana’ editi da Garzanti.

Le tavole che compongono l’originale serie dei Miracoli erano state realizzate da Buzzati su invito del gallerista Renato Cardazzo per una mostra inaugurata il 3 settembre 1970 alla galleria Naviglio-Venezia. Buzzati aveva immaginato ciascuna tela come il capitoletto di un racconto a cornice, che, inizialmente stampato nel catalogo, viene pubblicato l’anno successivo, poco prima della sua morte. Nella Spiegazione egli racconta che i suoi quadri, in realtà, sono riproduzioni di ex voto osservati in un santuario di montagna (anch’esso creato dalla sua fantasia), in Val Morel, di cui ha avuto notizie da un «quadernetto» ritrovato nella biblioteca paterna. Essi rappresentano «il classico repertorio di miracoli nostrani», all’interno del quale spunta qualche fatto «insolito e sorprendente» (p. 7). Dentro la cornice di ciascuna tavola un breve frammento ekphrastico descrive, come nel balloon di un fumetto, il miracolo realizzato da una Santa Rita che qua e là lascia intravedere qualche somiglianza, nella postura, nel volo acrobatico, «scortata dalle sue sante astronavi e angeliche schiere» (p. 90), con la fisionomia di alcuni supereroi. Nel libro inoltre ogni immagine riprodotta nella pagina destra è preceduta nella pagina a sinistra da un racconto-commento dell’autore, voice-over della microinchiesta svolta per appurare i ‘fatti’ e ricostruire l’attendibilità ‘storica’ del miracoloso evento. È qui che Buzzati lascia esplodere l’ironia, che invece nelle tavole appare trattenuta dal modo tutto suo di rappresentare il fantastico («il fantastico deve sboccare su una forma di realtà»); è qui che la sua voce si sdoppia e instaura un dialogo con il disegno partorito dal suo immaginario. Alla lettura di tale intricato gioco di riflessi fra verbale e visuale è chiamato il destinatario di questo libretto, popolato da quel bestiario che abbiamo imparato a conoscere nei racconti di Buzzati e che qui si mescola al repertorio dei mostri vecchi e nuovi dell’immaginario popolare. L’autore stesso si presenta come lettore delle immagini da lui realizzate, ora per provare l’esistenza delle creature in esse rappresentate, attraverso la testimonianza visiva attestata dal quadro («ogni volta il mostro […] fu visto di colore verdastro, o verde, o azzurro verdastro», p. 14), ora per lasciarne aperto il mistero («sono probabilmente degli enigmi di cui nessuno verrà mai a capo», p. 16).

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