Avant la lettre, Houel ha una coscienza e un’etica professionale, una forma mentale, un comportamento da reporter-photographe. Il culto dell’oggettività, della testimonianza diretta e precisa. Il sentirsi in dovere d’essere presente fino all’estremo limite di sicurezza, ed anche oltre. La consapevolezza serena e persino allegra, l’energia, la vitalità con cui affronta gli incerti, i disagi e i pericoli di un mestiere più vicino, appunto, a quello allora ignoto del giornalista-fotografo che a quello del pittore. Da ciò, per esempio, la sua indignazione quando scopre che Desprez aveva disegnato, per il Saint-Non, dei gradini che nel teatro di Taormina non c’erano. […] Possiamo anche immaginare, e ci piace, che Houel – come Bartolini, come Segonzac – si portasse dietro le lastre e le incidesse sul momento, en plein air, magari sommariamente, e che dalle lastre, e dai taccuini inzeppati di particolareggiati e minuziosi disegni, traesse poi, con una certa libertà, le gouaches, gli acquerelli.
L. Sciascia, Houel in Sicilia (1977)
Al di là dell’analogia con il modus operandi del reporter, quel che appare più interessante nel profilo di Houel, pittore-scrittore-viaggiatore in Sicilia, non è l’attenzione alle immagini reali dai lui prodotte, ma la riflessione sulle immagini che la sua storia, la sua anomala figura di viaggiatore producono nella fantasia dello scrittore. Se è pur vero che a lui «le immagini […] non sono mai bastate per immaginare», è altrettanto vero che si lascia sorprendere a fantasticare di Houel come un fotoreporter capace di sfidare le condizioni più pericolose pur di dare un sapore di verità al suo ‘servizio’ e come un incisore raffinatissimo che può stare accanto ai suoi adorati acquafortisti Bartolini e Segonzac; gli piace vagheggiare la sua avventura siciliana come assolutamente originale rispetto a quelle degli altri rappresentanti della letteratura odeporica di fine Settecento. Dunque la similitudine con i tratti del «giornalista-fotografo» si spiega non tanto per la ‘lettura’ di una qualche oggettività nei suoi acquerelli, ma per quella ricerca di obiettività, per quell’atteggiamento documentaristico, attento a tutti gli aspetti della cultura siciliana, che fanno di Jean Houel una singolarissima figura di viaggiatore. Degli anni trascorsi nell’isola restano i quattro volumi del Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malta et de Lipari (Paris, 1782-1787), testimonianza della generosa e appassionata immersione del pittore nella cornice del suo paesaggio. È proprio questo comportamento che accende l’immaginazione di Sciascia: «Questo suo lungo soggiorno ci dà alla fantasia. Come viveva, se si era fatto degli amici, quali ambienti frequentava. […] L’avere scelto Agrigento come luogo di residenza, i suoi molteplici interessi alle cose locali, il suo essersi connaturato, nei modi dell’ospitalità, all’ambiente: sono elementi che svegliano la nostra curiosità riguardo al personaggio, che sollecitano ad immaginare». Forse una qualche traccia di eredità di queste fantasticherie sciasciane toccherà in sorte a un altro scrittore siciliano quando si accingerà a disegnare la figura del pittore-viaggiatore Fabrizio Clerici che si muove da Palermo per le strade dell’isola nelle pagine di Retablo. Senza dubbio per Sciascia il Voyage di Houel, in cui disegni e parole oggettivamente e soggettivamente («j’affirme mes dessins par mes écrits, et je confirme mes écrits par mes dessins») esplorano la Sicilia, rivela un volto dell’isola, «luminosa, piena di vitalità e di bellezza» che si oppone, quasi esorcizzandolo, al ritratto oscuro e selvaggio firmato da molti suoi contemporanei.