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Il 14 e il 15 maggio si è svolto in Inghilterra presso l’Università di Birmingham, organizzato dal Queer Studies Caucus, un Workshop dedicato ai Queer Italian Studies, cui hanno partecipato studios* e attivist* provenienti dall’Italia, dal Regno Unito e dagli Stati Uniti con l’obiettivo non solo di stilare un bilancio della situazione italiana, ma anche di programmare iniziative e collaborazioni internazionali. In quest’ottica vari sono stati i punti dibattuti nella riflessione collettiva che si è svolta sui temi sollevati dai position paper: il non semplice equilibrio tra dimensione accademica e vocazione militante, il senso di differenza rispetto ad altri movimenti legati ai diritti delle minoranze sessuali, la difficoltà di costruire un discorso sul genere nel contesto sociopolitico italiano, ma anche l’interdisciplinarietà, l’interesse per le tematiche del corpo e del desiderio, il superamento della logica binaria maschile/femminile, il nesso fra transgenderismo e traduzione, la capacità di posizionare il sapere e di relazionarlo col vissuto.

Il paradosso per cui la teoria queer è vista come militante dagli accademici mentre è vista come accademica dai militanti ben sintetizza la doppia eccentricità che le pertiene. Se nell’università italiana è difficile per i ‘queeristi’ e le ‘queeriste’ vedere riconosciuto il valore delle proprie ricerche – per pregiudizio trans-omofobo, ma non meno per conservatorismo anti-teorico –, ess* tuttavia temono, istituzionalizzando il loro operato, di tradire l’antagonismo di un sapere che rifiuta gerarchie e ingabbiamenti. Di qui la sensazione di un disagio che non è esente dal rischio di un’impasse paralizzante, per superare la quale nell’ultima sessione del workshop è stato elaborato un piano di attività che prevede da un lato di richiedere finanziamenti istituzionali, dall’altro di affiancare alla sede accademica la presenza di artist*, poet*, musicist* coinvolgendo il più possibile la cittadinanza locale. Riguardo al secondo aspetto del paradosso, sebbene il queer non sia di per sé sovrapponibile all’universo LGBTQI ma inglobi altre istanze trans-identitarie come il postumano e il nomadismo, sul terreno del riconoscimento civile delle differenze sessuali esso subisce la concorrenza dei cosiddetti ‘omosessuali moderni’, che lottano, con ampia risonanza mass-mediatica, per il diritto al matrimonio e alla genitorialità. Possano questi ultimi guardare o meno ai e alle queerist* come a un’appendice radicale delle loro rivendicazioni, è comunque evidente la minore incidenza sociale del queer rispetto a un’istanza di normalizzazione che sembra stridere non solo con le punte più estreme delle teorie antisociali di Edelman e Bersani, ma anche con quella generica sovversione dell’eteronormatività che più genericamente contraddistingue la queerness.

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