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Abstract: ITA | ENG

L’opera, ascrivibile al fenomeno della letteratura della migrazione in lingua italiana nata negli anni Novanta, è una storia di migrazione e di identità sessuale al confine, ed è genesi transmediale di ulteriori produzioni artistiche. Porre in evidenza la struttura narrativa del romanzo, la presenza di un narratore ibrido, nascosto dietro l'alternanza della prima e della terza persona, la coloritura della lingua ‘abitata’ che segue il generarsi di una scissione identitaria, la presenza di personaggi appartenenti ad abbozzate microtrame che disegnano una mappa del dolore di corpi non più costretti a silenziare identità, tutto ciò serve da una parte a ricollocare il romanzo alla giusta distanza dalle opere che ha generato, dall’altra – e soprattutto – a rintracciare il filo narrativo che disegna la sovraesposizione dell’accettazione identitaria alla luce abbagliante di un corpo transgender. L’opera, ascrivibile al fenomeno della letteratura della migrazione in lingua italiana nata negli anni Novanta, è una storia di migrazione e di identità sessuale al confine, ed è genesi transmediale di ulteriori produzioni artistiche. Porre in evidenza la struttura narrativa del romanzo, la presenza di un narratore ibrido, nascosto dietro l'alternanza della prima e della terza persona, la coloritura della lingua ‘abitata’ che segue il generarsi di una scissione identitaria, la presenza di personaggi appartenenti ad abbozzate microtrame che disegnano una mappa del dolore di corpi non più costretti a silenziare identità, tutto ciò serve da una parte a ricollocare il romanzo alla giusta distanza dalle opere che ha generato, dall’altra – e soprattutto – a rintracciare il filo narrativo che disegna la sovraesposizione dell’accettazione identitaria alla luce abbagliante di un corpo transgender. 

The essay focuses on the need to measure the boundary between documentary autobiography and autobiographical fiction in the novel Princesa (1994), starting from the analysis of its complex genesis, which sees the author Fernanda Farias de Albuquerque in connection with the journalist Maurizio Iannelli, through the mediation of correspondence books with a third figure. The work, ascribable to the phenomenon of Migration Italian Literature in the nineties, is a story of migration and sexual identity on the border, and is the transmedia genesis of further artistic productions. To highlight the narrative structure of the novel, the presence of a hybrid narrator hidden behind the alternation of the first and third person, the coloring of the ‘inhabited’ language that follows the generation of an identity split, the presence of characters belonging to sketched little plots that draw a map of the pain of bodies no longer forced to silence identity, all this serves on one hand to relocate the novel to the right equidistance from the works it generated, on the other – and above all – to trace the narrative thread that draws the overexposure of identity acceptance to the dazzling light of a transgender body.

 

 

1. Premessa

Si prenda in prestito dalla tecnica fotografica il meccanismo della sovraesposizione della pellicola. Com’è noto, quando in fotografia si sovraespone, le tendine dell’otturatore scorrono più lentamente facendo arrivare più luce sulla pellicola per ottenere maggiori dettagli nelle ombre e colori più densi. Ma se si è avventati e imprecisi, la sovraesposizione ha l’effetto rischioso di ‘bruciare’ la foto rendendo vano il tentativo di fermare un’immagine e consegnarla a chi la guarda. Ecco, sembra che della vita e della scrittura di Fernanda Farias de Albuquerque si sia fatto questo: una sovraesposizione per arricchire dettagli e colori che ha rischiato – rischia – di bruciare la consistenza della sua figura. Rischio che forse corrono Maurizio Jannelli, co-autore (?) del romanzo Princesa insieme alla protagonista Fernanda (Sensibili alle foglie, 1994), Stefano Consiglio, autore del documentario Le strade di Princesa (1997), Henrique Goldman, regista del film Princesa (2001) e, in parte, Fabrizio De Andrè che a due anni dalla pubblicazione del romanzo compone la canzone Prinçesa (contenuta nell’album Anime salve, 1996).[1] È importante capire però i motivi che orientano il giudizio critico verso l’uso di una sovraesposizione non pienamente consapevole.

La fotografia di Fernando/Fernanda/Princesa, per rimanere nella nostra metafora, è bruciata non per gli occhi di chi vuole leggere la storia della vita dell’autrice-protagonista e della sua triplice identità soltanto come un’opera di autofiction, Fernando/Fernanda/Princesa, perché il lettore viene messo nella condizione di sapere che si trova dentro un processo di finzionalità, sia nel romanzo, sia nelle altre derivazioni artistiche che da quello hanno preso le mosse, a costruire concrezioni di significato; lo scatto è bruciato agli occhi di chi percepisce che la storia di Princesa ci introduce a uno spazio culturale che, così come ci viene consegnato, rischia di essere refrattario alla possibilità di una lettura non asfittica della trans e del personaggio Princesa. Questa al contrario, anzi, può essere considerata e letta secondo una prospettiva queer se debitamente spogliata dagli agglutinamenti delle produzioni artistiche.

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Il 14 e il 15 maggio si è svolto in Inghilterra presso l’Università di Birmingham, organizzato dal Queer Studies Caucus, un Workshop dedicato ai Queer Italian Studies, cui hanno partecipato studios* e attivist* provenienti dall’Italia, dal Regno Unito e dagli Stati Uniti con l’obiettivo non solo di stilare un bilancio della situazione italiana, ma anche di programmare iniziative e collaborazioni internazionali. In quest’ottica vari sono stati i punti dibattuti nella riflessione collettiva che si è svolta sui temi sollevati dai position paper: il non semplice equilibrio tra dimensione accademica e vocazione militante, il senso di differenza rispetto ad altri movimenti legati ai diritti delle minoranze sessuali, la difficoltà di costruire un discorso sul genere nel contesto sociopolitico italiano, ma anche l’interdisciplinarietà, l’interesse per le tematiche del corpo e del desiderio, il superamento della logica binaria maschile/femminile, il nesso fra transgenderismo e traduzione, la capacità di posizionare il sapere e di relazionarlo col vissuto.

Il paradosso per cui la teoria queer è vista come militante dagli accademici mentre è vista come accademica dai militanti ben sintetizza la doppia eccentricità che le pertiene. Se nell’università italiana è difficile per i ‘queeristi’ e le ‘queeriste’ vedere riconosciuto il valore delle proprie ricerche – per pregiudizio trans-omofobo, ma non meno per conservatorismo anti-teorico –, ess* tuttavia temono, istituzionalizzando il loro operato, di tradire l’antagonismo di un sapere che rifiuta gerarchie e ingabbiamenti. Di qui la sensazione di un disagio che non è esente dal rischio di un’impasse paralizzante, per superare la quale nell’ultima sessione del workshop è stato elaborato un piano di attività che prevede da un lato di richiedere finanziamenti istituzionali, dall’altro di affiancare alla sede accademica la presenza di artist*, poet*, musicist* coinvolgendo il più possibile la cittadinanza locale. Riguardo al secondo aspetto del paradosso, sebbene il queer non sia di per sé sovrapponibile all’universo LGBTQI ma inglobi altre istanze trans-identitarie come il postumano e il nomadismo, sul terreno del riconoscimento civile delle differenze sessuali esso subisce la concorrenza dei cosiddetti ‘omosessuali moderni’, che lottano, con ampia risonanza mass-mediatica, per il diritto al matrimonio e alla genitorialità. Possano questi ultimi guardare o meno ai e alle queerist* come a un’appendice radicale delle loro rivendicazioni, è comunque evidente la minore incidenza sociale del queer rispetto a un’istanza di normalizzazione che sembra stridere non solo con le punte più estreme delle teorie antisociali di Edelman e Bersani, ma anche con quella generica sovversione dell’eteronormatività che più genericamente contraddistingue la queerness.

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