Per Orhan Pamuk ogni museo dovrebbe essere un luogo in cui «il tempo diventa spazio», capace di raccontare le storie dei singoli individui e in cui poter «esplorare ed esprimere l’universo e l’umanità dell’uomo nuovo e moderno».[1] Quasi sulla stessa scia, a partire da un’idea di luogo non-monumentale in grado narrare fatti che vadano al di là dell’ossessione di un singolo, e da sempre attratto dalla Storia e dai suoi paradossi, Ascanio Celestini nel 2021 concretizza il progetto di costruire, narrativamente, un Museo dedicato alla memoria di Pier Paolo Pasolini.[2] È, ancora una volta, la sua «corda civile»,[3] in cerca dell’uomo e delle sue parabole, a consentirgli «di scorgere le tracce del mito».[4]
In una carriera dove ha filtrato, con i racconti di testimoni comuni, i grandi temi del nostro Paese, Celestini ci restituisce uno spettacolo straziante e potente, una raccolta di oggetti simbolo per disegnare la figura del poeta friulano, affiancando ad essi la rappresentazione del Novecento italiano saturo di fascismo, di golpe di stato, di democrazie tormentate e di una «busta de stracci che invece era n’omo morto». Una «corrispondenza d’amorosi sensi» che ben si spiega con la capacità dell’attore romano di raccontare storie controverse con la cifra di una disarmante onestà in grado di mescolare registri plurimi. Celestini, peraltro, non è nuovo all’esplorazione di Pasolini.[5] Nel 1998, quando ancora si considerava un «teatrante per caso», incontra Gaetano Ventriglia, e con lui – discutendo di cucina, di emozioni e del loro comune interesse per ‘il poeta delle ceneri’ – dà vita a Cicoria. In fondo al mondo, Pasolini, un po’ spettacolo[6] e un po’ libero pensiero. Al centro di questo esperimento si pone infatti una riflessione discontinua sul tema della morte che avvicina un padre (già trapassato) ad un figlio (nel momento del trapasso), emblematicamente identificati come Cicoria padre e Cicoria figlio. Questa coppia, che in modo scoperto discende da Totò-Ninetto Davoli di Uccellacci e uccellini, richiama anche il riflesso di altre opere, secondo un progetto in forma di palinsesto, instabile e promettente allo stesso tempo.