Sono costumiste, parrucchiere, sarte, truccatrici. Storicamente sono soprattutto montatrici, si dice per la dedita attenzione sviluppata con la pratica del taglio e cucito e la familiarità con il sistema a pedali dei primi tavoli di montaggio, lo stesso delle macchine da cucire (Meuel 2016). Sono le donne impiegate nel below-the-line della produzione cinematografica italiana, ovvero sotto la linea immaginaria che separa i mestieri ‘artistici’ da quelli ‘tecnici’ nella macchina produttiva di un film (Caldwell 2008, pp. 197-273; Gundle 2019). I dati raccolti nel dataset ANICA, che aggrega i crediti dei film prodotti e coprodotti dall’Italia tra il 1949 e il 1976 – l’intervallo cronologico preso in esame dal PRIN 2017 Modi, memorie e culture della produzione cinematografica italiana – tendono a confermare questo quadro, consentendo allo stesso tempo di far luce sulle poche che, tra di loro, sono state impiegate nel comparto prettamente produttivo, ribadendone la dominante maschile.

Al vertice della piramide, le produttrici, si sa, sono ben poche, eccezioni che confermano la regola del produttore uomo: Marina Cicogna, Marina Piperno, Fulvia Faretra, Giuliana Scappino, Enrica Bacci e Liliana Biancini non sono sole, ma le colleghe, una ventina, vantano sporadiche realizzazioni, non più di un film a testa in media, le cui formule produttive sono ancora da investigare. Passando all’esame della struttura del comparto, a partire dalla sua base, vediamo le segretarie di produzione italiane attestarsi circa sull’8,2% del totale, che sale al 12,3% includendo anche le straniere impiegate nelle coproduzioni nazionali. Ma il collo di bottiglia si stringe inesorabilmente anche solo salendo al gradino professionale superiore, con l’1,7% di ispettrici di produzione (che sale al 2,6 includendo le straniere), poco più dell’1% (2, con le straniere) di direttrici di produzione e solo tredici italiane accreditate come organizzatrici generali.

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