La dimensione visuale pervade gli spazi semantici di Se una notte d’inverno un viaggiatore molto più di quanto finora sia stato messo in luce, imponendosi sotterraneamente come elemento ‘continuativo’ nelle dinamiche narrative di questo libro dato alle stampe nel ’79 da uno scrittore sempre prepotentemente visivo e visionario come Calvino.[1]
I precedenti testi a cornice, Il castello dei destini incrociati e Le città invisibili, risultavano già apertamente giocati dallo scrittore sul registro della visualità attraverso la presenza iconografica dei tarocchi, assunti a tasselli di racconto, e attraverso le descrizioni delle surreali città ‘viste’ e visitate da Marco Polo; in entrambi i casi la componente legata alla vista si saldava alla produzione stessa della narrazione, esplicitandosi come elemento centrale e determinante tanto nell’uno quanto nell’altro romanzo. Di certo meno ‘evidente’ nel terzo grande libro combinatorio, la visualità occupa in realtà nel Viaggiatore il cuore stesso del testo, coincidente con quella passione per la lettura che passa appunto integralmente attraverso la vista. È tramite l’occhio che viene soddisfatto il desiderio del lettore, con un’attività tutta visiva, oltre che immaginativa, che gli procura piacere,[2] e che in modo deliberato è insistentemente associata nell’economia complessiva del romanzo al vagheggiamento e inseguimento della donna. Pure il desiderio del corpo femminile passa del resto primariamente attraverso la vista (nonché anch’esso attraverso l’immaginazione), in un interscambio-sovrapposizione tra l’inseguimento del libro che sfugge e della lei che sfugge che emerge chiaramente come uno dei tratti caratterizzanti del metaromanzo calviniano.