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Nel prestigioso salotto della villa paterna Il Salviatino, Paola Ojetti, traduttrice e giornalista cinematografica (Film. Settimanale di cinematografo, teatro e radio), costruì tra gli anni Trenta e Quaranta un’articolata rete sociale che annoverava anche diverse scrittrici e giornaliste. Tenendo in considerazione la storia di genere del periodo fascista, il breve contributo indaga la corrispondenza di Ojetti e della sua famiglia conservata in diversi archivi italiani. La giornalista disponeva di un’autorevole trama di relazioni e si servì del capitale sociale accumulato al Salviatino per accedere e farsi strada nel campo culturale, assumendo vesti non normative all’interno del quadro lavorativo del periodo fascista e valorizzando i progetti in cui era coinvolta. Inoltre, i documenti indagati portano alla luce l’importante rete femminile di cui faceva parte Ojetti: in particolare, nomi stimati come Margherita Cattaneo, Ada Negri, Alba De Céspedes e Ojetti stessa collaborarono in diverse occasioni (come la critica o il giornalismo cinematografico, i lavori di sceneggiatura, il periodico l’Almanacco della donna italiana) e si prestarono un importante supporto.

In the prestigious salon of her father’s villa Il Salviatino, Paola Ojetti, translator and film journalist (Film. Settimanale di cinematografo, teatro e radio), built up an articulate social network between the 1930s and 1940s, which also included several female writers and journalists. Taking into account the gender history of the fascist period, this short essay investigates Ojetti and her family’s correspondence preserved in various Italian archives. Relying on the social capital achieved at Salviatino, the journalist had skillfully managed to make her way in the cultural field, taking on non-statutory roles within the working framework of the fascist period and enhancing the projects in which she was involved. Moreover, the documents investigated bring to light the important female network of which Ojetti was a member: in particular, esteemed names such as Margherita Cattaneo, Ada Negri, Alba De Céspedes and Ojetti herself collaborated on various occasions (such as film criticism or journalism, scriptwriting work, the periodical l'Almanacco della donna italiana) and lent important support to each other.

 

1. Il Salviatino e Paola Ojetti

«Da questo poggio dov’è casa mia, vedo tutta Firenze, quella bella, quella antica, quella di macigno e di marmo» (U. Ojetti [1914] 1954, p. 3). Così Ugo Ojetti, critico d’arte, giornalista e ‘accademico d’Italia’, descriveva nei suoi Taccuini la posizione privilegiata del Salviatino, la villa storica immersa nel verde di Fiesole dove dal 1913 si stabilì con la moglie Fernanda Gobba e la figlia Paola [fig. 1]. Il salotto della sua abitazione non si affermava soltanto sul profilo rinascimentale della città, ma anche sul panorama mondano italiano: durante il ventennio divenne infatti un importante luogo di ritrovo per artisti, intellettuali e gerarchi. All’interno di questo contesto pienamente integrato nella società fascista, si era formata tra anni Trenta e Quaranta una rete femminile: attraverso i loro rapporti di amicizia, alcune professioniste della scrittura e del giornalismo (anche nelle vesti della critica cinematografica e della sceneggiatura) conoscevano nuove occasioni lavorative, ponevano le basi per collaborazioni presenti e future e si prestavano un inedito supporto.

Mentre nuove opportunità e cambiamenti nelle possibilità di vita delle donne italiane convivevano e si scontravano con l’ideologia patriarcale e repressiva del fascismo (Benadusi 2014), il regime dispiegò nei confronti del lavoro femminile una radicale politica di discriminazione che faceva certamente leva su pregiudizi di vecchia data ma ne accentuava gli svantaggi e lo sfruttamento (De Grazia, 1992, p. 167). In questo quadro, le professioni intellettuali erano difficilmente accessibili alle donne. Eppure, alcune attività, come la scrittura, il giornalismo e la traduzione, in particolare se non si mostravano, in apparenza, di prestigio (come il lavoro di pubblicista o la letteratura rosa), parevano offrire una veste maggiormente consona al lavoro femminile. Ciò poteva accadere per una supposta posizione ancillare rispetto allo status autoriale, ma anche per la flessibilità di alcune figure e per la possibilità di svolgere certi compiti in una dimensione domestica (De Grazia, 1992, pp. 195-196; Ferrando, 2020). Proprio gli spazi della casa potevano configurarsi come un inedito territorio di emancipazione professionale, in particolare in contesti facoltosi e di prestigio sociale.

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