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Gostanza da Libbiano (2000), film basato sul testo del reale processo per stregoneria subito nel 1594 da una domina herbarum di circa sessant’anni, completa la ‘trilogia sull’identità’ della quale fanno parte anche Il bacio di Giuda (1998) e Confortorio (1992). La storia si colloca tra Medioevo ed Età moderna e il film mostra tutte le ambiguità dei momenti di passaggio: Gostanza viene sconfitta senza rogo. Il saggio assume il concetto di ‘alterità’ come chiave per comprenderne i vari livelli problematici, e particolarmente il rapporto tra potere istituzionale e potere carismatico, tra uomini e donne, tra identità forti e identità negate.

Gostanza da Libbiano (2000), based on the real trial of the 60-years old domina herbarum who was persecuted for witchcraft in 1594, is the third film of the ‘identity trilogy’, which also includes Il bacio di Giuda (1998) and Confortorio (1992). The story is set between the Middle and Modern Ages and the movie shows all the ambiguities of transitory periods: Gostanza is defeated without being burned at the stake. The essay employs the idea of ‘alterity’ as a key to the understanding of the different problematic levels, especially the relationship between institutional and charismatic power, between men and women, between strong and spoiled identities.

 

1. Premessa

L’occasione per rivedere e riscoprire Gostanza da Libbiano di Paolo Benvenuti mi è stata offerta da alcuni colleghi romani, che mi hanno invitato a presentare una pellicola a mia scelta nel corso del Seminario intitolato Le Religioni e le Arti. Si tratta di un’iniziativa che da alcuni anni fa parte delle attività proposte dal Dipartimento di Storia, Culture e Religioni de ‘La Sapienza’, e che si prefigge un doppio intento: incrementare anche in Italia un’area di ricerca già forte di un certo prestigio accademico a livello internazionale, e promuovere un'indagine nuova sui fatti religiosi, attenta al «modo in cui diverse forme di espressione artistica si collocano deliberatamente nei discorsi contemporanei sul religioso, contribuendo così a plasmarne contorni, qualità, limiti».[1] Da tale sollecitazione sono scaturite queste pagine.

Per avviare la mia riflessione su Gostanza da Libbiano trovo perfettamente calzanti le parole con le quali Adriano Prosperi ci introduce al Dies Irae di Dreyer (la cui prima visione risale al 13 novembre del 1943), una pellicola e un regista che il film di Paolo Benvenuti variamente evoca. Mi sia, dunque, concesso prenderle in prestito: «Amo molto questo film e l’atteggiamento col quale mi pongo nei suoi confronti non è quello dell’interprete padrone dei segreti dell’opera, capace di sviscerarli con abilità e con un po’ di burbanza, ma piuttosto quello di uno spettatore catturato da un fascino che non riesce a spiegare del tutto».[2]

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