Videopresentazione di Lessico del cinema italiano a cura di Roberto De Gaetano

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Roma, 2 febbraio 2015

Riprese audio-video e montaggio: Simona Sortino; Grafica e animazioni: Gaetano Tribulato

 

La poderosa impresa del Lessico del cinema italiano, voluta e curata da Roberto De Gaetano per Mimesis e di cui è ora in libreria il primo dei tre volumi, ci porta anzitutto in dote un sentimento nuovo del nostro cinema. Un sentimento ambiguo, che mentre scopre l’effettiva inazione del pragmatismo italiano, ne rivela però la forza vitale che prende corpo nella rappresentazione e, in modo particolare, nella rappresentazione cinematografica.

Nella sua introduzione, che fissa con chiarezza il metodo e la libertà dell’opera, De Gaetano osserva infatti come questa forza il cinema abbia saputo esprimerla con più energia di qualsiasi altra arte nel corso del ventesimo secolo, senza mai darsi il progetto di formare un sentimento identitario, ma preferendo piuttosto restare «vicino alla vita sentita e pensata oltre le forme della società civile, dello Stato, della nazione e della storia». Si può immaginare quanto complesso sia misurare queste «forme di rappresentazione e di vita» (come si legge nel sottotitolo del libro), e nello stesso tempo quanto sia avvincente intendere il cinema italiano come campo di forze nel quale precipita una tradizione culturale che proprio su quel campo ritrova la sua italianità, in un processo di distanziamento e frantumazione dell’idea nazionale che la rivela, in perfetta coerenza, così irriducibilmente italiana.

Il Lessico del cinema italiano vuole ricercare nei film non più la radiografia del paese, la traccia, quand’anche al negativo, della nostra identità, ma piuttosto i depositi di un atteggiamento culturale e sociale che ha finito con il penetrare le strutture narrative, le opzioni di genere, i filtri dello sguardo. Non è in gioco alcuna risistemazione storiografica, questo Lessico si prefigge di individuare dei poli magnetici, ora costituiti da singoli film (ogni capitolo si apre con un film che funge da guida nei gironi dell’Amore, del Bambino, del Colore, del Denaro, dell’Emigrazione, della Fatica e della Geografia – le parole di questo volume), ora costituiti dai nodi del neorealismo, del melò, della commedia. Ciascun polo, nella sua carica attrattiva, deve poterci restituire una tradizione che affluisce direttamente nelle immagini e che dalle immagini ci mette di fronte, ad esempio, alla crisi d’identità sociale che attraversa i racconti del sentimento d’amore, alla dolorosa moralità incastonata nei corpi di bambini contro il mondo, a quel senso di déplacement migratorio che è così nostro e così poco accettato e compreso.

L’idea nuova del Lessico, la prospettiva, così lunga e archeologica, che si assume, trovano una sponda poetica nelle parole e nelle immagini che Jean-Luc Godard dedica al nostro cinema nella terza parte delle sue Histoire(s) du cinéma, in cui nell’individuare in Roma città aperta il momento della riconquista per il paese del diritto a guardarsi in faccia, il maestro francese si meraviglia che il cinema italiano sia potuto diventare così grande quando nessuno dei suoi autori registrava il suono insieme alle immagini: «une seule réponse – dice Godard –: la langue d’Ovide, de Virgile, de Dante et de Leopardi était passé dans les images». Avviene qui lo sfondamento di un’idea tradizionale di storia del cinema, in questo suggestivo trapassare di Ovidio e Virgilio, di Dante e Leopardi nelle immagini sorde di Rossellini, in quelle allestite di Visconti, nei détournements di Antonioni, negli spettacoli di Fellini. Si tratta, automaticamente, di uno sfondamento dei confini del cinema, che sembra molto cercato nelle pagine del Lessico. Se il punto di vista è questo, il cinema non può più interessare solo gli addetti ai lavori, deve inondare lo studio della cultura italiana, perché ne è stato (e ne è) straordinario catalizzatore e perché sono gli autori stessi che lo consentono: Rossellini, De Sica, Visconti, Fellini, Antonioni, Pasolini, Risi, Monicelli, Olmi, Leone, Bertolucci, Amelio, Moretti, a tacer delle maschere attoriali e dei nostri grandi scrittori di film.

Leggendo questo primo volume ci si convince della centralità del cinema italiano nelle nostre esistenze e non potrebbe essere diversamente se pensiamo a quanti milioni di persone, nel corso degli anni, ha saputo attrarre a sé. Si ricava anche un’idea di vitalità del nostro cinema, favorita senz’altro dalla scelta di chiedere agli autori di prendere, come film-incipit, un’opera uscita in tempi recenti e di porla come primo dei poli magnetici su cui lavorare: Io e te di Bernardo Bertolucci (2012), Corpo celeste di Alice Rohrwacher (2011), L’intervallo di Leonardo Di Costanzo (2012), Gomorra di Matteo Garrone (2008), Il caimano di Nanni Moretti (2006), Nuovomondo di Emanuele Crialese (2006), La grande bellezza di Paolo Sorrentino (2013), Noi credevamo di Mario Martone (2010).

Si ha la sensazione che a riannodare certi fili si ricompongano trame che hanno ancora molto da dirci su come e perché ci rappresentiamo.