Provare a indagare la figura poliedrica del letterato artista Ardengo Soffici non è un’operazione priva di rischi. Ciò nonostante, nel volume edito da Le Lettere, il giovane studioso Ruben Donno li affronta senza timore, destreggiandosi all’interno di una letteratura critica vasta e interdisciplinare. L’intento dell’autore è quello di avanzare, attraverso una dettagliata ricostruzione cronologica della vita dell’artista, una lettura contigua della sua opera letteraria e figurativa. Sin dal primo capitolo difatti, essa viene esplorata in maniera duplice: da un lato, analizzando l’attenta scelta lessicale che lascia trasparire il genuino soggettivismo proprio della sperimentazione letteraria di Soffici, dall’altro, ponendola in dialogo con l’operazione eminentemente ecfrastica della critica longhiana. Il denominatore comune di questa particolare forma di scrittura è rappresentato per Donno dalla messa in luce di una volontà sottesa nel «dare forma plastica alle parole e far sì che esse, fuoriuscendo dalla pagina per effetto pop-up, possano modellarsi concretamente sulla scorta del dato figurativo» (p. 25). L’uso fluido di una terminologia specifica, priva dei tecnicismi propri della disciplina storico-artistica, coadiuvato dal forte gusto narrativo e metaforico – non esente da localismi e toni colloquiali – evidenzia così quel «parlar figurato» (G. De Robertis, ‘Ardengo Soffici’, in A. Soffici, Fior Fiore. Pagine scelte e ordinate da Giuseppe De Robertis, Firenze, Vallecchi, 1937, p. 15) che caratterizza la scrittura dell’autore del Poggio, oggetto di curiosità e interesse di un pubblico eterogeneo.

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