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La recensione, ricca di questioni concettuali e riferimenti culturali, che un giovane Vittorio Taviani dedica all’opera di Carlo Ludovico Ragghianti, Cinema, arte figurativa (Einaudi, Torino 1952), sulle pagine della rivista di arte e letteratura La rassegna, edita a Pisa da Nistri-Lischi, mette in luce un elemento poco approfondito del percorso formativo dei due fratelli: il confronto con l’estetica e la riflessione sull’arte e, mediante queste, con la teoria cinematografica, un confronto precocemente nutrito e consapevole, matrice di quel nucleo autoriflessivo, di teoria intrinseca e implicita, rinvenibile al fondo di molti loro film. Pur riconoscendo la caratura della riflessione generale e l’acutezza di molte osservazioni e dell’analisi formale di singoli brani filmici (da Chaplin, Pabst, Ejzenštejn), Taviani non fa sconti al discorso di Ragghianti: alle astrattezze metastoriche e sovrastrutturali di uno storicismo di estrazione crociana oppone una visione, materialista e dialettica, della storia dei fenomeni artistici, e dunque del cinema, radicata nella storia degli uomini e delle forze reali in gioco nella società; al formalismo riduzionistico delle analisi filmiche una prospettiva di studio che invece ne restituisca la totalità espressiva e umana. Il ventaglio dei puntelli culturali delle argomentazioni critiche di Taviani rispetto ai vari temi trattati rivela una formazione aperta e articolata su più fronti, dal De Sanctis della Storia della letteratura italiana al Gramsci di Letteratura e vita nazionale, dal Croce dell’Estetica al Russo di La critica letteraria contemporanea; e per l’ambito cinematografico, da Balázs a Chiarini e Lizzani.

The review, full of conceptual issues and cultural references, that a young Vittorio Taviani dedicates to Carlo Ludovico Ragghianti’s work, Cinema, arte figurativa (Einaudi, Turin 1952), in the pages of the art and literature magazine, published in Pisa by Nistri-Lischi, La rassegna, highlights a little-explored element of the two brothers’ formative journey: the confrontation with aesthetics and reflection on art and, through these, with film theory, an early nurtured and conscious confrontation, the matrix of that self-reflexive core, of intrinsic and implicit theory, found at the bottom of many of their films. While acknowledging the caliber of the general reflection and the acuity of many observations and formal analysis of individual filmic pieces (from Chaplin, Pabst, Ejzenštejn), Taviani does not discount Ragghianti’s discourse: to the metahistorical and superstructural abstractions of a historicism of Croce extraction he opposes a vision, materialist and dialectical, of the history of artistic phenomena, and therefore of cinema, rooted in the history of men and the real forces at play in society; to the reductionist formalism of film analysis a perspective of study that instead restores its expressive and human totality. The range of cultural props of Taviani’s critical arguments with respect to the various topics covered reveals an open and articulate education on several fronts, from De Sanctis (Storia della letteratura italiana) to Gramsci (Letteratura e vita nazionale), from Croce (Estetica) to Russo (La critica letteraria contemporanea); and for the film field, from Balázs to Chiarini and Lizzani.

 

 

Il recente riordino dell’archivio della casa editrice pisana Nistri-Lischi ha riportato alla luce dieci annate della rivista culturale La Rassegna, diretta dall’editore Luciano Lischi, a partire dalla fine degli anni Quaranta e per tutti gli anni Cinquanta.[1] Dallo scrutinio dei numeri del 1952 sono emersi due articoli nei quali un giovane Vittorio Taviani (nato a San Miniato, nel 1929, due anni prima del fratello Paolo) recensisce in modo circostanziato altrettanti studi cinematografici appena pubblicati da Einaudi, la Storia del cinema di Georges Sadoul, nel 1951,[2] e Cinema arte figurativa di Carlo Ludovico Ragghianti, nel 1952,[3] subito inseritisi nell’articolato e acceso dibattito storiografico e teorico di quegli anni.

 

 

Le due recensioni, mentre illuminano tratti salienti di quella dialettica di voci e prospettive, restituiscono un’istanza critica militante tipica del periodo e una componente significativa dell’humus culturale e della riflessione cinematografica che contribuirono alla formazione dei due fratelli, marcandone gli esordi realizzativi al fianco di Valentino Orsini. Qui mi occuperò dell’articolo dedicato al volume di Ragghianti, tra i due il più ricco di ragionamenti e riferimenti teorico-critici e capace, per questo, di consegnarci – attraverso il suo posizionamento rispetto alle questioni affrontate, l’atteggiamento estetico-ideologico di fondo e l’indicazione di alcuni numi tutelari – i semi di taluni aspetti significativi dell’opera e del discorso cinematografici venturi.

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