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Dopo due volumi dedicati rispettivamente a François Truffaut e George Simenon, la collana Ricerche di Marsilio ha ospitato nel 2023 una nuova riflessione sui rapporti fra letteratura e cinema, assumendo questa volta come privilegiato punto di indagine l’opera di Max Ophuls. L’occasione per accostarsi a un autore che, come subito sottolineano i curatori Denis Brotto e Attilio Motta, «ha da sempre legato il suo nome all’attenzione letteraria» (p. 7) prende le mosse da un convegno tenutosi presso l’Università di Padova nel 2020. Solo per citare qualche esempio, capolavori come Lettera da una sconosciuta (Letter from an Unknown Woman, 1948) o Il piacere e l’amore (La ronde, 1950) sono notoriamente trasposizioni di celebri testi: nel primo caso, una novella di Stefan Zweig, nel secondo, un dramma teatrale di Arthur Schnitzler. Se poi si abbraccia la produzione di Ophuls nella sua interezza, il legame con la letteratura appare evidente anche in termini strettamente numerici. Ben due terzi delle sue pellicole sono infatti adattamenti di opere firmate da grandi scrittori della tradizione europea, soprattutto tedesca e francese.

Il costante dialogo con queste due letterature affonda certamente le radici nella biografia stessa del regista. Quando Maximilian Oppenheimer – tale il vero nome del cineasta – viene al mondo da una famiglia di origine ebraica agli inizi del Novecento, la natia Alsazia è una regione fortemente ambita sia dalla Germania sia dalla Francia. Multiculturalismo e cosmopolitismo saranno quindi tratti destinati a plasmare l’apprendistato del giovane artista. Senza contare, naturalmente, la drammatica condizione di esule a cui Ophuls verrà costretto, analogamente a tanti altri colleghi, dall’avvento del nazismo. Una condizione, quest’ultima, che culminerà, dopo diversi spostamenti tra Francia, Svizzera e Italia, con un soggiorno hollywoodiano dalle alterne fortune. Infine, nell’immediato dopoguerra, il ritorno in Europa segnerà l’inizio di una breve ma fecondissima stagione. Seppur interrotta dalla prematura scomparsa del regista, questa fortunata fase sarà di lì a poco ampiamente celebrata dall’innovativo approccio dei Cahiers du cinéma.

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«Credo che una delle descrizioni più belle e al tempo stesso più angosciose dell’andare al cinema – voglio dire fisicamente, voglio dire del camminare fra le nebbie, le luci fioche, i radi passanti e le saracinesche abbassate di una cittadina del Nord, per rifugiarsi nel tepore e nel biancore di un cinematografo, dove sembra convergere tutta la vita residua della cittadina, a parte quella che si consuma, misteriosa e prevedibile, dietro le persiane delle case private – si trovi verso la fine degli Occhiali d’oro: parlo del testo, non certo del film» (p. 281). Così scrive Guido Fink all’inizio di un saggio dedicato al complesso rapporto fra Giorgio Bassani e il cinema. Incipit di sfolgorante bellezza formale, il brano aiuta implicitamente a comprendere le due principali ragioni della curatela di Alessandra Calanchi e Paola Cristalli del volume La doppia porta dei sogni, recentemente edito dalla Cineteca di Bologna, che raccoglie ventuno scritti redatti da Fink fra il 1977 e il 2001. Nello specifico, la selezione è stata effettuata sulla poderosa eredità di saggi che la vedova dello studioso, Daniela Sani, ha donato proprio alla Cineteca di Bologna alcuni anni fa.

In primo luogo, come testimonia il passo citato, emerge la volontà delle curatrici di rendere omaggio alla nota capacità di Fink di trasformare la riflessione sul cinema in un dialogo costante con altri universi culturali, a partire da quello letterario, ma senza mai escludere la possibilità di incursioni in terreni tradizionalmente meno battuti. Nelle pagine introduttive, Alessandra Calanchi pone appunto l’attenzione sulla natura fortemente prismatica della scrittura finkiana. Attraverso variegati percorsi – «cinema e letteratura, la screwball e la sophisticated comedy, il film yiddish e gli ebrei nel cinema italiano, il New Deal, il melodramma, il cinema ‘ferrarese’ di Antonioni e di Bassani, l’onirismo, la fantascienza» (p. 11) –, gli interventi scelti in collaborazione con Paola Cristalli restituiscono un mosaico di intrecci che supera i confini fra le diverse discipline. Un mosaico che, come si osserva sempre nell’introduzione, sorprende se consideriamo che che molti di questi scritti risalgono a decenni in cui la fruizione filmica era limitata soltanto al cinema o alla televisione.

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