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Carullo-Minasi, that has received the ANCT Prize in 2017, with a motivation that defined it as «the last, little revolution of italian theatrical scenes», represents today one of the most original realities in italian artistic creation. This interview is the result of the encounter with the messinese company on the occasion of the debut of Marionette, che passione!, their show hosted in the summer season of Catania’s Teatro Stabile. It tries to investigate and to outline the main points of their research and authorial gaze.

 

 

D: Partirei proprio dal ‘qui e ora’. Ci stiamo incontrando all’interno della stagione estiva del Teatro Stabile di Catania che vede il debutto del vostro ultimo spettacolo Marionette, che passione! da Rosso di San Secondo. Voi che vivete e lavorate a Messina, che sguardo avete sulla vostra città? E, sempre da un punto di vista culturale, come appare ai vostri occhi Catania e il legame tra queste due sorelle – se sono davvero da considerarsi sorelle – nella costa orientale della Sicilia?

 

R: Anzitutto siamo molto contenti di questa domanda, perché rappresenta per noi il focus su cui le istituzioni dovrebbero cominciare a ragionare in maniera intelligente, facendo quella che sempre viene chiamata ‘rete’ ma che sembra così difficile in un contesto come quello siciliano. Riteniamo questa, veramente ‘qui e ora’, un’occasione che probabilmente dovrebbe caratterizzare le esperienze dei cosiddetti ‘giovani’ che non sono più giovani, che hanno un percorso alle spalle di dieci anni e che comunque vogliono potere sperimentare quello che qui è accaduto, cioè avere una macchina istituzionale messa a loro disposizione con fiducia e meraviglioso rischio. Perché la felicità, ma al contempo anche l’arte, è rischio e rischio equivale anche a responsabilità: noi, con tutta la squadra, ci sentiamo estremamente responsabili e di questa responsabilità ne facciamo un valore. Vogliamo, però, che questo rischio – che è stato assunto da Catania nella figura straordinaria di Laura Sicignano – sia un punto d’esempio per tutta la Sicilia. Perché noi ci sentiamo onorati di potere intraprendere una cosa che ti mette d’innanzi a tutta una serie di elementi con cui in genere non siamo soliti operare: abbiamo sempre giocato e lavorato con una povertà del teatro e qui continuiamo a ragionare sulla povertà del teatro – e sulla magnificenza di quella povertà –, sapendo però di potere contare su una struttura che evidenzia che cos’è il teatro. Il teatro è povero, deve rimanere povero, ma si deve avvalere della forza degli esseri umani, perché amplifica la loro potenza per poi raccontare la nullità del genere umano. Messina è in un momento di grande disvalore culturale, che rischia un impoverimento delle generazioni a venire. Se non si vede teatro, se non si cerca di creare, appunto, delle connessioni, le generazioni non si incontrano e non possono poi arrivare a dire quello che si costruisce nel tempo, piano piano, con l’esperienza. E si può cominciare a dire che questa è un’occasione di grande esperienza che fuoriesce dai canoni che eravamo abituati a sperimentare.

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  • [Smarginature] Pelle e pellicola. I corpi delle donne nel cinema italiano →

Stupide bambolette imbalsamate: con queste parole Anna Magnani, nei panni della canzonettista Loletta Prima, in Teresa Venerdì (1941), definisce le donne per le quali il medico dell’orfanotrofio, interpretato da De Sica, la tradisce. È quindi un personaggio da lei interpretato ad esprimere l’enorme divario esistente tra il proprio modo di interpretare una donna in carne ed ossa e quello falso e artificioso delle tante commesse, segretarie private, telefoniste che popolano il cinema di regime. Questo breve intervento analizza come il corpo di Magnani, presente sul grande schermo dell’epoca in brevi apparizioni, abbia determinato, all’interno soprattutto del genere della commedia, la nascita di una performance erotica, destinata ad imporsi con prepotenza nel cinema del dopoguerra che archivierà le Ê»stupide bombolette imbalsamateʼ. L’utilizzo del termine Ê»corpo comicoʼ in riferimento all’attrice è da intendersi non tanto come modalità espressiva per scatenare la risata bensì come corpo che, attraverso la parodia o l’atteggiamento caricaturale, desacralizza o nega un certo tipo di fisicità erotica (la vamp su tutte) proponendone un’altra altrettanto sensuale ed eccedente, ma alternativa. Magnani, in questo cinema lontano dalla realtà, viene quasi sempre reclutata per ruoli marginali e brillanti che a teatro e soprattutto nella rivista l’hanno resa famosa. Come numerosi suoi colleghi comici (Totò, Fabrizi, Govi, Macario, Musco, Galli), adatta con naturalezza per il nuovo medium i saperi teatrali appresi, modificandoli in minima misura: i registi dell’epoca infatti spesso erano poco propensi a rischiare e preferivano riproporre sul grande schermo performances collaudate sui palcoscenici della penisola. Così tra tutti i personaggi della ribalta (fioraia del Pincio, Cappuccetto Rosso, Anna Karenina, Fata turchina, prostituta in vestaglia), ecco Magnani recitare spesso sul grande schermo la parte della sciantosa con cappelli di piume e boa di volpi [fig. 1]: una figura che incarna al meglio una tipologia femminile inedita di donna emancipata, slegata da vincoli familiari, che svolge una professione moralmente riprovevole e che si esprime in maniera del tutto anticonvenzionale, non risparmiando cadute vertiginose nella volgarità. Se la pellicola di regime espelle la rappresentazione del corpo femminile come principio di seduzione, come afferma Grignaffini, è vero tuttavia che spesso spetta a figure muliebri – talvolta marginali, come Magnani – esprimere le tensioni interne alla sessualità e alla femminilità negate.

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