In Italia, negli ultimi dieci anni, è fiorito un cinema che mi piace definire il ‘cinema dell’attenzione’. È quel cinema fortemente legato al sentimento del nostro tempo, che fa dell’ascolto la sua forza, dell’esperienza il proprio fondamento. Nel cinema dell’attenzione la restituzione è qualcosa di più del risultato di un procedimento di analisi e sintesi; ha a che fare con l’interpretazione e con la scelta del punto di vista, quello attraverso cui ogni cosa ha valore perché fa parte di un disegno organico, coerente, di bellezza e necessità, che è la drammaturgia.
È un cinema capace di raccogliere le istanze di comprensione del presente, di cittadinanza, di partecipazione. Usa l’esperienza come veicolo per raccontare storie importanti, che ci riguardano, per proporre personaggi che siano davvero nella Storia, capaci di cogliere le trasformazioni e interpretare il proprio tempo. È sorprendente trovarsi nel mezzo della Storia e capire che puoi esserci, devi esserci. Perché le tue storie e i tuoi personaggi sono radicati nel loro tempo e portano con sé il futuro, perché le vicende che li riguardano parlano di tutti noi, di chi siamo e di cosa diventeremo.
È il cinema che si interroga sul linguaggio, che non ha paura di mescolare il documentario con la finzione, che non si considera sperimentale quando usa entrambi i linguaggi, perché entrambi i linguaggi li ha praticati, assimilati.