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Nell’aprile di quest’anno, presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, si è tenuto un convegno di due giorni dedicato alla rappresentazione del viaggio nella storia delle arti. L’appuntamento - dal titolo dantesco “Nel mezzo del cammino. Il viaggio come esperienza estetica” e curato dal docente cafoscarino Marco Dalla Gassa - ha visto studiosi di letteratura, cinema, teatro, musica, storia delle arti, architettura interrogarsi e dialogare sulle arti odeporiche, alla ricerca di pratiche comuni e specificità espressive. Qui di seguito pubblichiamo una piccola parte degli esiti di quella due giorni a cura dei dottorandi della Scuola dottorale inter-ateneo di Storia delle arti di Venezia e Verona. Si potrà leggere un breve report delle relazioni proposte dagli studiosi, in modo da trovare traccia di contenuti e approcci disciplinari proposti, spesso tra loro complementari; un’intervista a Enrico Menduni sul suo ultimo lavoro intitolato “Andar per treni e stazioni” (Il Mulino, 2016) e due saggi, che recuperano parzialmente due relazioni del convegno, uno dedicato alle trasformazioni urbane imposte dal turismo di massa a Barcellona, tra sussulti d’arte e ri-pianificazione delle abitudini di vita, l’altro dedicato alle vicende e alle opere di alcuni scrittori inglesi che hanno attraversato l’Asia centrale tra Otto e Novecento.

#1 Nel mezzo del cammino. Il viaggio come esperienza estetica

di Victoria Streppone

 

Dall' 11 al 13 aprile 2016 si è tenuto a Venezia, nella sede centrale dell’Università Ca’ Foscari, il convegno Nel mezzo del cammino. Il viaggio come esperienza estetica. L’evento, che ha coinvolto e facilitato lo scambio fra diverse discipline, è stato curato da Marco Dalla Gassa, docente di ‘Storia e critica del cinema’ e autore di un recente studio sui film di viaggio, in collaborazione con la Scuola dottorale di ‘Storia delle arti’ e il Dipartimento di ‘Filosofia e Beni culturali’ dell’ateneo veneziano. Il convegno - a cui si sono aggiunti in quegli stessi giorni in altri luoghi della città lagunare presentazioni di libri, proiezioni cinematografiche e incontri con scrittori di viaggio - è nato come momento di condivisione trasversale e interdisciplinare attorno alla rappresentazione e all’immaginario del viaggio nei principali sistemi espressivi, alla ricerca di non sempre immediate prossimità tra un linguaggio e l’altro, tra esperienze odeporiche vissute nel recente passato e altre più lontane nel tempo. Qui di seguito presentiamo una parziale carrellata delle sollecitazioni emerse durante il convegno, che ha visto partecipare sia studiosi affermati, sia dottorandi e post-dottorandi alle loro prime esperienze di dialogo accademico.

Il viaggio, da sempre fonte di narrazioni e chiave di lettura per leggere l’esistente, ha trovato nell’Ottocento uno dei suoi momenti di maggiore accensione creativa e, nel contempo, di più rigida istituzionalizzazione. In un periodo storico in cui, grazie alle innovazioni tecnologiche, si è assistito a una progressiva facilità allo spostamento e, contemporaneamente, alla crescita esponenziale del fenomeno del colonialismo del Vecchio continente, il viaggio si è fatto rivelatore anche dei rapporti che gli artisti hanno istituito con l’altrove, da una parte assegnando a esso un ruolo di ispirazione, dall’altra facilitando la canonizzazione di forme e generi di racconto, di rappresentazione. Tale aspetto è emerso con chiarezza durante il convegno grazie ad alcuni interventi, come ad esempio quello di Francesca Castellani nel quale si sono ricostruiti alcuni viaggi di artista (in particolare quelli di formazione finalizzati a soggiorni presso l’Accademia di Francia a Roma), nelle cui vicende si possono individuare i rapporti di forza e di reciproca influenza tra le esigenze creative di pittori e letterati in viaggio, e quelle canonizzanti degli enti preposti a facilitare o sostenere economicamente i soggiorni in città straniere. Sulla stessa falsariga si possono collocare altre relazioni. Ad esempio accenna all’importanza dello spostamento e alla sua valenza economica Cecilia Riva, presentando una ricerca sul collezionista Layard, con la descrizione dei suoi scavi archeologici in Oriente alla scoperta di nuovi manufatti, mentre Gianni Dubbini si sofferma maggiormente sui rapporti tra artisti-viaggiatori e flussi economico-culturali tracciando l'iconografia di una Birmania che subisce un progressivo cambiamento estetico dopo essere divenuta provincia dell'India britannica.

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The essay developes an analysis of the City of glass (1987) by Paul Auster in comparison with its comic transposition created by Paul Karasik and David Mazzucchelli (1994). The study aims at recognizing, through the thick weave of linguistic and metanarrative refractions of the novel, the rules of a “literary game” that is not self-referential. It instead corresponds to a structurally element of postmodern reality, but also to an exegetical tool capable of giving back a readable image to the complex urban architecture. By following, through the theory of the “walking rhetoric” proposed by de Certeau, the wanderings of the main character Quinn on the streets of Manhattan, and observing the visual rehash in the graphic novel, the essay recognizes a “spatial story” (de Certeau), a tactic action of “writing” the postmodern city, interpreted as an infinite set of possible narratives, and readings.The opportunity to compare the novel with its transcodification within the structurally chronotopical language of comics, in which the time of the written world becomes complementary to the spatiality of the images, suggests a “geocritical” approach to this work: the narrative styles of the spatial representations, and also their graphic exploration, are interpreted to return, in a moving map, a visible image of New York city.

Nell’idea di ‘percorso interpretativo’ si nascondono due anime distinte e al contempo inseparabili l’una dall’altra: l’interpretazione, che studia i segni e il linguaggio del romanzo urbano, leggendone il testo; ma anche il percorso, che avvicina il lettore alla possibilità di attraversare il testo come fosse uno spazio e che rimanda, inoltre, alla metafora del bivio, alla necessità della scelta che ogni atto d’interpretazione sottende. Rispetto alle altre strade, questo saggio non si propone quindi quale ‘strada maestra’, ma quale percorso possibile tra i tanti svincoli e intersezioni, tra le arterie principali e le vie secondarie davanti a cui il romanzo sulla città pone il suo lettore.

Il discorso prosegue lineare, talvolta si incastra nel dedalo di strade e vicoli ciechi, tra le personalità incontrate e i loro riflessi; talvolta, girato l’angolo, incontra piazze in cui riprendere fiato. Si sofferma, allora, nel tentativo di tracciare una mappa del testo, e ripercorrere così il senso dello spazio in esso attraversato. Sono brevi pause però, perché il motivo del percorso non è nel suo tracciato, ma è il camminare stesso dell’interpretazione lungo le linee del testo.

1. Camminare, scrivere, interpretare: tra il testo e la città

Salire in cima al World Trade Center, significa sottrarsi alla presa della città. Il corpo non è più avvolto dalle strade che lo fanno girare e rigirare secondo una legge anonima. […]

Librandosi sopra queste acque, Icaro può ignorare le astuzie di Dedalo in labirinti mobili e senza fine. Il suo elevarsi lo trasfigura in voyeur. Interpone una distanza. Tramuta un testo che si ha sotto gli occhi, il mondo che ci stregava e dal quale eravamo ‘posseduti’.

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