Alberto Moravia impara a conoscere l’arte in famiglia: il padre architetto si reca ogni anno nella natia Venezia per dipingerne le vedute, poi custodite gelosamente in casa, e la sorella Adriana, moglie dell’artista Onofrio Martinelli, è una pittrice affermata dalla «personalità molto originale»;[1] anche nei ricordi affidati a Dacia Maraini, lo scrittore va con la memoria all’abitazione di via Donizetti, dove risiede fino all’inizio degli anni Quaranta, alle cui pareti erano affissi «dei quadroni scuri, forse del Seicento»,[2] la stessa epoca delle tele presenti nel Villino Carovigno dei soggiorni estivi a Viareggio:
Agli occhi di Moravia quello del pittore appare «un mestiere più attraente, più fascinoso e più originale della letteratura» perché fatto di «colori e di forme» e non di un continuo «battagliare con le parole»;[4] per la medesima ragione, nel corso dell’intera esistenza, si circonda di amici pittori che lo affascinano perché, a differenza degli scrittori, sono sempre «artisti»,[5] e si circonda di dipinti, come dimostra la straordinaria collezione conservata nell’appartamento di Lungotevere della Vittoria, oggi sede della Casa Museo Alberto Moravia. È sempre la stessa passione per l’arte che spinge Moravia a collaborare con il fedele editore, Valentino Bompiani, alla ricerca di una sovraccoperta che sappia incorniciare con efficacia l’argomento dell’opera: sin dal primo volume edito dalla casa editrice milanese lo scrittore romano propone gli artisti che lo colpiscono e, nel tempo, richiede più volte l’edizione illustrata delle opere, sedotto sin da bambino dai disegni con cui Gustave Doré accompagna molta letteratura. Va rilevato che nelle numerose interviste lo scrittore non restringe le riflessioni sull’arte a un ambito soggettivo e le proietta in una dimensione storica, certo che la cultura italiana sia «pittorica, non letteraria»[6] poiché la rappresentazione dell’Italia è tanto più riuscita nelle opere dei pittori che in quelle dei poeti.