«Affascinante come un romanzo, documentato come un saggio accademico». La prima riga del risvolto di copertina che accompagna il nuovo libro di Alessandra Sarchi suggerisce immediatamente un quesito che i teorici della letteratura ci hanno insegnato a porci in modo quasi automatico e prioritario: a quale genere del discorso appartiene il testo che stiamo leggendo? La medesima riga, nel suscitare tale interrogativo, pare delimitare anche gli estremi dello spettro di possibilità: il romanzo, narrazione ‘affascinante’ per la sua capacità di avvincere chi legge, e il saggio accademico, rigoroso nel suo processo di ‘documentazione’. Le due tesi implicite che gli editori del testo di Sarchi sembrano avallare contrapponendo i due aggettivi corrispondono all’opinione generale nei confronti tanto dell’uno quanto dell’altro genere: il romanzo è associato al mondo della finzionalità, della ‘fantasia’ (intesa come facoltà immaginativa) su cui di norma si fonda gran parte del suo potere affabulatorio; si pensa al saggio accademico come a un qualcosa che, invece, sacrifica ogni velleità creativa a favore della documentazione che deve essere statutariamente manifesta in numerosi punti del testo (note a piè di pagina, citazioni da altri saggi, riferimenti interni, bibliografia finale ecc.), in nome di una scientificità che sempre più deve essere resa esplicita a fronte dei complessi procedimenti valutativi in seno alle istituzioni accademiche.
Alessandra Sarchi, La felicità delle immagini, il peso delle parole. Cinque esercizi di lettura di Moravia, Volponi, Pasolini, Calvino, Celati
di Beatrice Seligardi
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