Il film Incendies (2010) di Denis Villeneuve (presentato in Italia con il titolo La donna che canta), nato dall’adattamento per il grande schermo della omonima pièce di Wajdi Mouawad, mostra nella sua complessa stratificazione intertestuale e intermediale, insieme a diversi riferimenti al mito classico, evidenti rimandi alla tragedia edipica, riscritti e riletti in un contesto di dislocazione complessiva, che investe personaggi, spazi, temi e struttura drammaturgica. La pièce dell’acclamato artista libano-canadese, Incendies (2003), secondo atto della quadrilogia scenica Le sang des promesses (che comprende Littoral, 1999; Forêts, 2006 e Ciels, 2011) lascia emergere echi molto evidenti rispetto al testo sofocleo e alla sua tradizione e ricezione, echi che vengono ripresi e rideclinati nella trasposizione cinematografica in modo a volte originale a volte fedele alla scrittura di Mouawad. Il presente studio propone dunque un caso in cui è necessario intrecciare e sovrapporre gli apporti diversi provenienti dalla mitocritica e dagli studi sull’adattamento, al fine di evidenziare le escursioni transmediali e le variazioni intersemiotiche, le costanti e le metamorfosi di un mito che mostra ancora la sua profonda vitalità e la sua persistenza nel nostro immaginario.
La prospettiva di indagine che si intende adottare è volta, in altri termini, a evidenziare la complessità della relazione fra i due testi: Incendies di Villeneuve non viene scelto cioè come semplice caso di adattamento, ma come esempio della dimensione intertestuale che investe a vari livelli qualsiasi trasposizione da un testo ad un altro e qualsiasi traduzione intersemiotica. Nell’analisi del processo di riscrittura da cui deriva il film ciò che si vuole rilevare in questa sede è il confronto con lo strato più profondo del palinsesto, con la fonte sofoclea e con la memoria mitica rispetto alla quale l’Edipo re rappresenta a sua volta una versione (seppur la più nota), nonché con la sua ponderosa tradizione ricettiva. La natura «multistrato»[1] dell’adattamento, messa in evidenza da Linda Hutcheon richiamandosi ai numi tutelari delle teorie della intertestualità (da Kristeva, a Genette a Barthes),[2] appare in questo caso in tutta la sua più feconda luminosità. Il rapporto fra il film e la pièce rende visibile (in senso letterale, come si mostrerà più avanti) in maniera emblematica l’«incrocio di superfici testuali», il «dialogo tra parecchie scritture», il «mosaico di citazioni» per cui «ogni testo è assorbimento e trasformazione di un altro testo»[3] e dunque la paradigmatica struttura a palinsesto di ogni adattamento. Per quanto ci si concentrerà sulle tracce del fantasma edipico presenti nel film e nella pièce, il focus del discorso rimane però il passaggio dall’uno all’altro ‘incendio’ e la considerazione del film come prodotto di una transcodificazione e come processo ermeneutico e creativo.[4]