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  • [Smarginature] «Ho ucciso l'angelo del focolare». Lo spazio domestico e la libertà ritrovata →
Abstract: ITA | ENG

All’interno della filmografia di Duras, Nathalie Granger è un’interessante opera di transizione; film sull’amore materno, è anche una potente metafora del ruolo della donna nel cinema e nella società. Le due donne (Lucia Bosè e Jeanne Moreau) vivono in una casa (la stessa casa di Duras), ultima casa abitabile del suo cinema, che diventa estensione della loro femminilità: una casa-utero, spazio domestico sul quale hanno pieno controllo, luogo di rifugio e di cura. Lo spazio della casa è anche esclusione, volontaria prigione, rispetto all’esterno in cui vivono gli uomini che si allontanano e si vedono sparire inghiottiti dal mondo del lavoro e del linguaggio. Nella casa regna il silenzio, la musica (oppositiva rispetto alla verbalizzazione dei sentimenti), i gesti ripetitivi e lenti della cura domestica (sparecchiare, stirare, cucinare), le preoccupazioni mute di una madre per le intemperanze di una figlia bambina. Dal fuori arrivano le voci minacciose di una violenza diffusa e un venditore ambulante che cerca inutilmente di vendere alle due donne una lavatrice rivoluzionaria, senza ottenere nessuna risposta, se non la velata insinuazione dell’inutilità del proprio ruolo all’interno della società, della velleità di voler dare un nome ad ogni cosa. Il contributo vuole quindi approfondire l’idea dello spazio domestico come luogo del silenzio, un silenzio che diventa atto rivoluzionario, oppositivo del femminile nei confronti del verbo maschile. 

Within Duras’ filmography, Nathalie Granger is an interesting work of transition; a film about maternal love, it is also a powerful metaphor for the role of women in cinema and society. The two women (Lucia Bosè and Jeanne Moreau) live in a house (the same house of Duras), the last habitable house of her cinema, which becomes an extension of their femininity: a home-womb, a domestic space on which they have full control, a place of refuge and care. The space of the house is also exclusion, voluntary prison, compared to the outside in which all the men live moving away and seeing themselves disappear swallowed up by the world of work and language. In the house reigns silence, music (opposition to the verbalization of feelings), repetitive and slow gestures of domestic care (clearing, stretching, cooking), the mute concerns of a mother for the intemperance of a daughter. From the outside come the threatening rumors of widespread violence and a salesman who tries in vain to sell the two women a revolutionary washing machine, without getting any answer, if not the veiled insinuation of the futility of one’s role in society, of the desire to give a name to everything. The contribution aims to deepen the idea of domestic space as a place of silence, a silence that becomes a revolutionary act, opposing the feminine’s silence to the male verb. 

1. Nathalie Granger e il cinema della modernità

L’obiettivo primario di questo contributo è quello di riflettere sulla funzione simbolica che la dimensione domestica riveste nell’immaginario letterario e cinematografico di Marguerite Duras, partendo in particolare da un film, molto significativo, come Nathalie Granger: girato nella primavera del 1972, è interpretato da due dive come Lucia Bosè e Jeanne Moreau, e da un giovane attore alle primissime armi, Gérard Depardieu; fu presentato al Festival di Venezia dello stesso anno, ottenendo un riscontro piuttosto tiepido da parte della critica e del pubblico.

I temi del cinema di Duras sono gli stessi della sua narrativa, del suo teatro, dei suoi interventi saggistici e giornalistici. Nel cinema non è difficile identificare tre periodi ben distinti: da La Musica (1966) a Nathalie Granger (1972) siamo nel ‘cinema della modernità’, sotto l’influsso di Alain Resnais (con il quale Duras aveva collaborato alla sceneggiatura di Hiroshima, mon amour); da La Femme du Gange (1972-73) a Le Navire Night (1979) siamo nel ‘cinema delle voci’, in cui immagini e suono non sono più sincroni, ma viaggiano su piani temporali distanti e talvolta irraggiungibili, in cui il film e il testo percorrono binari paralleli, e le voci dialogano con le immagini; da Césarée (1979) a L’Homme atlantique (1982) siamo nel ‘cinema della voce sola’, poiché solo la voce di Marguerite Duras accompagna le immagini, monologando con esse.

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