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Cultura visuale. Immagini sguardi media dispositivi di Andrea Pinotti e Antonio Somaini (Einaudi, 2016) contiene una sorta di autorecensione al suo stesso interno. Il volume si apre infatti con le articolate pagine introduttive in cui i due autori non solo spiegano il senso del progetto, ma anche sintetizzano il percorso dei capitoli, in un certo senso svelando, con paragone giallistico, l’assassino prima che venga commesso il delitto. Tale scelta si spiega con la natura didattico-divulgativa del lavoro, che aspira a costituire un viatico il più possibile ordinato e chiaro al dibattito internazionale sulla cultura visuale; sullo sfondo, però, si affaccia un’altra ragione, e cioè che Pinotti e Somaini possano avere ritenuto che fosse necessaria una mappatura supplementare per orientarsi nella ramificatissima messe di dati, nomi e concetti che, non senza qualche episodica ridondanza informativa, danno vita a un volume dal ritmo argomentativo certamente molto elevato.

Più in dettaglio, Cultura visuale si compone di sei densi capitoli tesi a dimostrare che «studiare le immagini e la visione assumendo come punto di riferimento questo concetto significa prendere in esame tutti gli aspetti formali, materiali, tecnologici e sociali che contribuiscono a situare determinate immagini e determinati atti di visione in un contesto culturale ben preciso» (pp. XIII-XIV). Di qui l’esigenza di ricostruire nei primi due capitoli la storia e le aree di un sapere per definizione inter- e transdisciplinare, che ingloba al suo interno tratti teorici, storici, filosofici ma anche riflessioni sull’arte, sulla fotografia, sul cinema, sui mass media, sulla pubblicità, nonché sulla presenza delle immagini nella vita quotidiana. Senza tralasciare il ricco panorama francese, specie in relazione a nomi come Barthes, Foucault, Deleuze, gli autori distinguono poi tra i visual culture studies anglosassoni, di impostazione più culturalista e militante, e la tedesca Bildwissenschaft, più legata alle metodologie storico-artistiche tradizionali, nonostante entrambi gli indirizzi siano fautori delle affini prospettive della pictorial turn (W.J.T. Mitchell) e della iconic turn (Bohem), oltre che di un interesse per l’immagine tout court, al di là del suo status artistico. Dal terzo al quinto capitolo si prendono invece in esame i concetti e percorsi chiave del multiforme orizzonte degli studi sulla cultura visuale, come – solo per nominarne i principali – la differenziazione tra images come entità immateriali e pictures come fenomeni concreti, la distinzione tra la neutra vision e la situata visuality col conseguente dibattitto sulla validità di un approccio storico allo sguardo e alla percezione, i regimi scopici che operano all’interno di una complessiva iconosfera, la riflessione sulla realtà aumentata, il focus sul rapporto tra senso dell’immagine e sua materialità a partire dall’attenzione riservata ai supporti e ai dispositivi, la discussione sul passaggio dall’analogico al digitale, la prospettiva socioculturale sui medium e sui loro variegati rapporti (multimedialità, intermedialità, transmedialità, rimediazione, rilocazione), il rinnovamento degli studi sui mass media alla luce dell’opposizione tra immagini ad alta o bassa definizione. La sesta e ultima sezione è dedicata agli usi sociali delle immagini e differisce dalle precedenti in quanto si sposta sugli oggetti su cui possono essere applicati i metodi presi in esame: dai reperti di archeologia preistorica sino alla diffusione globale di immagini come quelle relative all’attacco terroristico dell’11 settembre e alle torture dei prigionieri ad Abu Ghraib, dall’uso delle immagini sacre già nell’antichità ai recentissimi fenomeni di manipolazione e derealizzazione tramite internet e, in particolare, le piattaforme social.

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L’11 dicembre 2014 si è tenuto a Santa Maria Capua Vetere, presso il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali della Seconda Università degli Studi di Napoli, l’annuale seminario SISCA (Società Italiana per la Storia della Critica d’Arte). Curato da Gaia Salvatori, docente di Storia dell’arte contemporanea nel suddetto Dipartimento, e presentato da Gianni Carlo Sciolla, presidente SISCA, l’evento ha riunito le più varie esperienze di ricerca nel settore storico-artistico e critico-curatoriale in ambito nazionale e internazionale con l’obiettivo di discutere di una questione centrale nell’arte contemporanea: l’intermedialità e il suo rapporto con la critica d’arte. A partire da ciò sono stati oggetto di riflessione della giornata forme della critica e varietà dei suoi interpreti, testimonianze di artisti, problemi di ricezione e tipologie di pubblico, luoghi, spazi e canali della comunicazione.

La nozione di intermedialità si pone innanzitutto come un catalizzatore interdisciplinare in cui confluiscono riflessioni eteroclite radicate in contesti differenti. In essa si intrecciano, e il seminario ne è stata una chiara dimostrazione, discorsi provenienti da distinti campi disciplinari: semiotica testuale, teoria letteraria, teoria dell’arte, sociologia della comunicazione, mediologia ecc. Pur impiegando prospettive metodologiche diverse, a volte molto lontane le une dalle altre, queste discipline lavorano attorno a urgenze comuni, relative, da un lato, al rapporto fra media e linguaggio e, dall’altro, a quello fra media e società. L’intento della giornata di studi, dunque, è stato proprio quello di cercare in queste eterogenee metodologie di ricerca un filo conduttore che possa permettere la costruzione di un discorso critico innovativo e maggiormente rispondente alle esigenze della società contemporanea; un atto critico di fiducia fra arte contemporanea e suoi interlocutori nella convinzione che gli addetti ai lavori possano ritenersi tali, in questo settore, solo se interpreti attenti (o caparci di comprendere) a molti punti di vista.

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