This article explores the collaboration between Giuseppe Ungaretti and Pericle Fazzini, with particular attention to the art plaquette Frammenti per la Terra Promessa, edited by Velso Mucci in 1945. Mucci was the director of the collection «Concilium Lithographicum», based on a strict connection between word and image. Thus, the article aims at offering a reconstruction of the collection’s editorial history, as well as an analysis of the interrelation between picture and text in this particular kind of editions, namely artists’ books. Moreover it shows the relevance of art in Ungaretti’s production, by using examples from critical essays and poems (especially La Terra Promessa), with particular regard to the relationship between finite/infinite, measure/“mystery”, space/time.

Nel risvolto di copertina del numero 9 della serie editoriale «Concilium Lithographicum»[1] diretta da Velso Mucci, è riprodotta una nota redazionale apparsa il 16 maggio 1945 sul settimanale «Domenica», in cui si legge:

La plaquette realizzata da Giuseppe Ungaretti e Pericle Fazzini, propone l’edizione delle prime due stanze dei Cori descrittivi di stati d’animo di Didone (raccolte sotto il titolo di Frammenti per la Terra Promessa), accompagnate da una litografia a piena pagina dell’artista, dal ritratto del poeta realizzato da Mino Maccari, e da due xilografie di Orfeo Tamburi.

Essa costituisce il sesto numero del «Concilum Lithographicum» che aveva inaugurato le sue pubblicazioni nel dicembre 1944 con una cartella fuori commercio, composta da un testo dello stesso Mucci e da una litografia di Mino Maccari, realizzata «per servire da esperimento alla collezione».[2] Il «Concilium» avrebbe proseguito la sua attività sino al 1947, per un totale di tredici numeri, cui collaborarono numerosi autori di rilievo come Palazzeschi, Barilli, Bontempelli, Cardarelli, molti dei quali legati al fervido clima artistico e culturale che aveva caratterizzato la scena romana dagli anni Venti agli anni Quaranta, tra cui: Savinio, De Chirico, De Pisis, Sinisgalli, De Libero, Vigolo.[3]

Formatosi nell’ambiente torinese e parigino, Velso Mucci arriva a Roma intorno al 1940 ed entra subito «in grande dimestichezza con le famiglie di Savinio e De Chirico».[4] A questo periodo risale inoltre l’incontro con Mino Maccari, vera eminenza grigia del «Concilium».

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