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What are the modalities of retrieval, conservation and survival of cultural legacies that have been - or are designed to be - lost due to radical historical or political shifts? This question guides the present research, based on a comparative analysis focused on a specific artistic form, installation. Ilya and Emilia Kabakov’s most famous ‘total’ installation, Monument to a Lost Civilization, is the first text examined in order to demonstrate its function as a modern ‘Russian ark’, saving the relics of Soviet material culture. In a similar vein, Sergei Volkov’s artistic reflection on Russian and Soviet societies, poignantly expressed in his 1990 installation Art Warehouse, is taken into account. The comparative approach is integrated with a privileged line of research that, availing itself of the instruments provided by the field of visual studies, explores the relationship between the visual component of a work of art, nostalgia, memory and material culture.

1. I Russian cultural studies e l’eredità sovietica

Già a fine anni Novanta Catriona Kelly, Hilary Pilkington, David Shepherd e Vadim Volkov registravano una certa attenzione in ambito culturologico riservata alla Russia, testimoniata da un considerevole aumento di studi.[1] Negli ultimissimi tempi, questo interesse sembra essersi intensificato sia all’interno della Federazione Russa, sia al di fuori dei suoi confini. In campo accademico, sul rapporto tra la Russia sovietica e post-sovietica sono intervenuti, tra gli altri, Gian Piero Piretto,[2] Boris Kachka, Vitaly Komar, Gary Shteyngart, Lara Vapnyar e Michael Idov.[3] Pur partendo da premesse diverse, anche Evgenij Dobrenko e Andrej ŠÄerbenok hanno messo in evidenza il peso che l’eredità culturale sovietica ha sull’attuale contesto russo: «Russian society and culture are still dependent on their Soviet heritage, which is upheld and rejected, often simultaneously, in practically all fields of symbolic production, from state ideology to architecture, from elite literature to mass culture».[4] Questo particolare legame di dipendenza costituisce il tratto fondamentale della cultura post-sovietica, secondo Dobrenko e ŠÄerbenok: «Russian culture remains suspended [...]. This suspension between the traumatic experiences of the past, both remote and quite recent, and an underdeveloped and unstable narrative about it, are at the core of contemporary Russian culture, marking it as an inherently post-Soviet culture».[5] In questo spirito nascono diverse iniziative culturali in Russia: a fine 2011, ad esempio, ha aperto a Kazan’ il Museo della quotidianità socialista (Muzej socialističeskogo byta), mentre nel novembre 2012 c’è stata l’inaugurazione a Mosca del primo museo di design, che ad oggi ha proposto tre mostre dedicate agli oggetti sovietici.[6] Il confronto tra il concetto di utopia e la realtà sovietica è invece al centro della mostra Utopia e Realtà (Utopija i Real’nost’), giunta a Mosca il 17 settembre 2013. A poco più di vent’anni dal crollo dell’Urss (1991), la questione della quotidianità sovietica, indissolubilmente legata agli oggetti che la componevano, è dunque diventata uno dei temi di maggior rilievo nel più ampio contesto dei Russian cultural studies.

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