La piana architettura che tiene insieme i Racconti con figure di Tabucchi, raccolta di scritti legati a riproduzioni di opere figurative, è organizzata secondo uno spartito musicale, forse nella convinzione borgesiana che la musica altro non sia «che una misteriosa forma del tempo» (p. 78). E di tempo – rincorso, fermato o perduto – è intrisa l’intera opera. Nei tre movimenti in cui è suddivisa la raccolta – Adagi, Andanti con brio, Ariette – l’immagine e la parola vestono ancora una volta, verrebbe da dire con Tabucchi, il dolore del tempo. Riuscendo però a oltrepassarlo, per sconfinare in autentiche dichiarazioni di poetica, che si avvalgono della pittura e della fotografia come gli artisti del frottage si servono delle superfici scabre per far emergere le figure desiderate. E tali figure sembrano indicazioni di possibili percorsi dentro uno spartito-atlante che svela le personali geografie dell’autore, costringendo a far mutare il giudizio del lettore, a seconda che egli legga l’opera seguendo un’a o l’altra delle ipotetiche mappe possibili. La tentazione è di andare oltre la suddivisione in movimenti musicali proposta dall’autore, in cerca di altre indicazioni che permettano di ‘visitare’ i racconti raggruppandoli secondo altri principi, seppure di carattere estrinseco: ad esempio l’anno di composizione, che rivela le diverse scansioni del pensiero dell’autore; oppure l’atto stesso della pubblicazione, discrimine tra racconti editi e inediti; o ancora la collocazione originaria del singolo scritto, che permette al lettore di distinguere i diversi toni di un racconto, di una prefazione ad un catalogo o della recensione su un quotidiano; persino il grado di amicizia che lega l’autore agli artisti può fungere da indicazione per il lettore-critico, costretto a destreggiarsi tra enunciati sentimentali e riflessioni.

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