1. Isa Miranda, milanese
La prima sequenza de La signora di tutti basta ad affermare per Isa Miranda la postura di femme fatale e al contempo ne segnala l’inevitabile piegatura tragica. Lo spazio che la inquadra è quello della camera di un hotel elegante: le corbeille di fiori, i ricchi arredi, i lampadari lucenti introducono chi guarda al personaggio di Gaby Doriot segnalandone da subito lo statuto di diva. Ma il corpo di lei, avvolto in una liseuse di seta, giace a terra, inerte: la donna ha tentato il suicidio. Le stanze sfarzose, i saloni signorili, i camerini accoglienti, le ville di lusso circondano poi la figura di Gaby lungo tutto il racconto accompagnandone le svolte drammatiche che conducono al suo destino fatale: seduttrice senza intenzione, la donna porta alla rovina gli uomini che hanno la ventura di innamorarsi di lei, per poi darsi la morte [fig. 1]. Dunque il film di Max Ophuls assegna Miranda al ruolo di donna del destino, sul quale l’attrice costruirà la sua fama e il viaggio a Hollywood, dove lo star system la accosterà a Greta Garbo e Marlene Dietrich (Muscio, 2009).
Ma l’immagine divistica di Miranda non è monolitica. I ruoli nei film italiani del decennio Trenta sembrano voler sfuggire al cliché della tragica seduttrice: meno fatali e più misurate sono, ad esempio, l’emigrante Maria Brunetti di Passaporto rosso (G. Brignone, 1935) o la sobria Velia di Scipione l’Africano (C. Gallone, 1937). Così, nei due testi autobiografici (Miranda, 1945 e 1946) come nella autofiction dal titolo La piccinina di Milano (1965), l’attrice tiene a distanza l’immagine della femme fatale per tracciare piuttosto il racconto degli anni difficili della gavetta, in quel tentativo tenace «di controllare il proprio personaggio pubblico», come scrive Elena Mosconi (2021), che percorre tutte le sue divagrafie. Il motivo ritornante è quello di Cenerentola: l’attrice disegna un ritratto di sé molto più terragno e ambienta in spazi modesti e miserabili un passato di ragazzina povera ma volitiva, impegnata in mille lavori, dalla aiutante di sartoria, la “piccinina”, a scatolaia, commessa, indossatrice, stenodattilografa, per sbarcare il lunario e potere, un domani, lasciare il «decrepito portone» da dove era «uscita un giorno per intraprendere il cammino della sua vita» (Miranda 1946).