1. Introduzione
Con l’invenzione del dagherrotipo nel 1839 e i consecutivi progressi tecnici realizzati fino alla fine del secolo in fotografia, l’Ottocento sperimenta un «pictorial turn»[1] e crea una nuova iconografia o «imagerie».[2] In Italia i fratelli Alinari fondano a Firenze la prima ditta fotografica negli anni Cinquanta e nel biennio 1863-1864 appaiono i primi giornali illustrati con fotografie, L'illustrazione italiana e L'illustrazione universale. Proprio in quegli anni Luigi Capuana inizia la sua attività di fotografo: il suo interesse per la fotografia è testimoniato sin dal 1862.[3] La fotografia fu una vera e propria «passione sviscerata»[4] alla quale dedicò molto tempo e molto denaro, dandosi anche «alla rudimentale e ingegnosa fabbricazione di macchine fotografiche»[5] e spingendosi fino a metter su nel 1880 un laboratorio fotografico, il «Grande Atelier Fotografico in Mineo diretto dal Professor Luigi Capuana». Egli si autodefiniva un «maniaco della camera oscura» e delle «lastre» (di vetro, sulle quali erano impressi i negativi): sicché non era certo un semplice «dilettante evoluto»[6] né un «giocoliere della camera oscura».[7]
Il fondo fotografico della «Casa-Museo Luigi Capuana di Mineo e Biblioteca Comunale L. Capuana del Comune di Mineo» è composto di 184 fotografie positive e 3 lastre impressionate, di cui circa la metà si possono assegnare a Capuana (molte, però, prive di iscrizioni autografe apposte in calce o sul tergo, sono di incerta attribuzione). Numerose sono ancora le fotografie autografe disperse in collezioni private,[8] considerando l’elenco stilato da Capuana stesso, il «Catalogo delle negative fotografiche di L.C.»,[9] riferito ad oltre 300 immagini.[10]Alcune delle fotografie capuaniane sono state pubblicate, altre sono tuttora inedite, così come lo sono le lastre non sviluppate. Pochissimi sono gli studi e i cataloghi delle fotografie di Capuana. Nel 1982, Andrea Nemiz pubblicò parte del catalogo di una mostra in cui erano state presentate 68 fotografie del Nostro, allora quasi tutte inedite, e più recentemente, si deve ad Aldo Fichera l’elaborazione di una preziosa disamina del Fondo fotografico. In campo saggistico, dopo l’articolo pioneristico di De Roberto apparso nel 1916 sul supplemento illustrato de La Tribuna, Noi e il mondo e il libro di Corrado Di Blasi Luigi Capuana originale e segreto, senza data ma ascrivibile agli anni Sessanta del Novecento, Capuana fotografo ha suscitato una rinnovata attenzione solo all’inizio del XXI secolo.[11] Manca però tuttora uno studio complessivo della sua attività fotografica e un catalogo completo. In questo breve contributo si è tralasciata la produzione paesistica e folcloristica del Fondo per concentrarci esclusivamente sui ritratti del Fondo di Mineo, nei quali, secondo Morello, «Capuana raggiunse i suoi risultati migliori».[12]