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L’analogia relativa al rapporto fra fotografia e cinema, che Cortázar utilizza per spiegare la distinzione fra racconto e romanzo, è forse un po’ abusata, ma è capace di mettere bene in evidenza una delle peculiarità più affascinanti della narrazione breve. Nel saggio intitolato Alguno aspectos del quento (1962-1963), lo scrittore argentino afferma, infatti, che un romanzo, proprio come un film, offre al lettore un «”ordine aperto» all’interno del quale il senso degli eventi si raggiunge per accumulazione; nel caso di un racconto, allo stesso modo che per uno scatto fotografico, si ottiene il medesimo effetto attraverso una limitazione di campo, ritagliando una porzione di realtà, «ma in modo tale che quel ritaglio agisca come un esplosione che apre una realtà molto più ampia».[1] I racconti di Alessandra Sarchi, appena pubblicati con il titolo Via da qui da minimum fax (2022), si pongono rispetto ai suoi romanzi in una relazione analoga: ripropongono temi, immagini, tecniche diegetiche molto simili, ma in questo caso tutte e cinque le storie si addensano su un momento della vita dei personaggi, si coagulano su dettagli quotidiani, si fissano su gesti e oggetti che invitano a superare la cornice che li racchiude. Ancora con Cortázar potremmo dire che da loro ha origine quella «esplosione di energia spirituale che illumina […] qualcosa che va molto oltre il piccolo e talvolta miserevole aneddoto che narra».[2]

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Abstract: ITA | ENG

A partire dallo scambio intellettuale tra Bertolt Brecht e Walter Benjamin la riflessione propone di pensare alla pratica teatrale come strumento citazionale e traduttivo. Citazione e traduzione condividono la questione della contestualizzazione e ricontestualizzazione, dell’apertura all’estraneità, e pertengono al principio iterativo e differenziale proprio del teatro. Concetti come straniamento, interruzione, montaggio permettono di comprendere il teatro in questi termini e si condensano emblematicamente nel gesto – Gestus brechtiano, atto performativo per eccellenza. 

Concepts such as estrangement, estrangement effect (Verfremdungseffekt), quotation, translatio/translation, interruption, montage are the key terms to understanding not only the mutual influence between Brecht and Benjamin but also the possibility to consider theatre as a ‘tool for quotation and translation’. In particular gest – Brechtian Gestus – the performative act par excellence is the emblem of this theoretical possibility.

Durante l’esilio americano (1941-1947) Bertolt Brecht si trova nella necessità di dover tradurre in inglese il testo del suo Galileo (1938) per la messa in scena programmata nel luglio del 1947 a Beverly Hills. Nel lavorare alla traduzione con l’attore destinato a impersonare Galileo, Charles Laughton, non solo Brecht sapeva poco l’inglese, ma Laughton non conosceva il tedesco. Malgrado le non poche difficoltà i due riuscirono comunque nell’impresa perché, assieme alla traduzione del testo condotta da Brecht con l’aiuto di dizionari, l’attore «recitava il tutto finché andava bene, cioè finché si era trovato il gesto».[1] L’individuazione del gesto era quindi funzionale alla resa della recitazione. Ciò porta a constatare che l’utilizzo del gesto come verifica della traduzione rende conto del fatto che a teatro una rappresentazione recitata in lingua straniera si comprende bene pur senza capirne le parole. E porta anche a osservare che il gesto, poiché sanciva la comprensione dell’attore ed era riconosciuto da Brecht, «non faceva parte di ciò che veniva tradotto e non era quindi traducibile».[2] Oppure, per converso, si potrebbe pensare che il gesto fosse l’unica cosa traducibile, lì dove la lingua non costituiva il codice comune di comunicazione.

Brecht afferma come l’estraneità di ciascuno alla lingua dell’altro li avesse obbligati a usare la recitazione (acting) come mezzo, come strumento di traduzione. Precisamente alla gestualità agita da Brecht in cattivo inglese o in tedesco seguiva la frequente ripetizione agita da Laughton in inglese corretto, fino a che non si otteneva qualcosa di soddisfacente. Il tutto veniva scritto, e l’individuazione della giusta espressione linguista poteva richiedere anche molti giorni. Brecht definisce questa modalità d’individuazione del gesto e dell’espressione ad esso associata un «system of performance-and-repetition»,[4] ossia un metodo in cui l’espressione dell’azione e la sua ripetizione erano funzionali all’esito performativo. E specifica come si concentrassero sui frammenti più piccoli, persino le esclamazioni, considerati di per sé.

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