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La scrittura, per le dive che scelgono di sperimentare il genere autobiografico attraverso i social network, si produce essenzialmente nella forma di un racconto visivo, che di scatto in scatto restituisce l’illusorietà della vita nel suo farsi. Così, la messa in immagine del sé ordita dall’attrice, per esempio tramite le fotografie del proprio profilo Instagram, può rappresentare una forma autobiografica alternativa da ‘leggere’ attraverso la lente della specificità del medium.

Dunque, al fine di comprendere come una siffatta scrittura mediale si situi nell’iconosfera (Pinotti, Somaini 2016), riteniamo sia utile proporre un ancoraggio alla nozione di fototesto indagata da Cometa, ossia un oggetto che si colloca in un territorio intermedio tra testo e immagine e che, nella relazione fra verbale e visuale, ribalta incessantemente la forma dell’ekphrasis nella forma-illustrazione.

L’ampia genealogia in cui si inseriscono i fototesti va dai Totentänze medievali alla diffusa e semplice didascalia, fino alle combinazioni di testo e immagine su un unico supporto mediale (Cometa 2011, p. 65). Quest’ultimo caso ci sembra si attagli perfettamente alla piattaforma Instagram, che consente all’autore di corredare le immagini ‘postate’ con descrizioni e hashtag, e al fruitore di commentarle. Ne deriva che il contatto interlocutorio col destinatario, stilema tipico della scrittura autobiografica (Battistini 2007), può inverare un’effettiva forma dialogica tra autore e lettore, potenziata grazie alla facoltà di rilanciare il feedback.

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