Dal 25 giugno al 7 luglio si è svolta la ventiduesima edizione del Festival Inequilibrio diretta da Angela Fumarola e Fabio Masi, che, ospitando quaranta creazioni tra danza, teatro e musica, ha proposto al suo pubblico molteplici visioni del contemporaneo. La manifestazione è diventata, così, terreno di relazione tra artisti e spettatori dopo aver sostenuto, durante tutto l’anno, progetti di ricerca che hanno trovato nelle sedi di Fondazione Armunia un luogo fisico ed un’occasione d’incontro. Risultato di questa operazione è stata la costituzione di uno spazio collettivo aperto al confronto fra le generazioni che hanno segnato alcune tra le più significative tracce d’autore dell’ultimo trentennio.

Da questa sinergia di forze creative è scaturita un’antologia di temi uniti dallo spazio e dalle emozioni che nella cornice festivaliera ha offerto agli spettatori occasioni rare da vedere tutte insieme, andando oltre il ruolo di ‘vetrina’ destinata ai giovani e presentando i lavori di autori, performer, danzatori e creatori con una consolidata carriera alle spalle, ma sempre animati da una costante tensione verso il futuro. In particolare – seppure partendo dai grandi temi dell’oggi quali l’emarginazione, la migrazione e la ridefinizione dei confini (interiori ed esteriori) – l’arte teatrale ha indagato a fondo il ruolo dell’attore, dello spettatore, del testo drammatico nella contemporaneità e nel dialogo con i media e le nuove tecnologie.

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Questa creazione di Mor Shani – giovanissimo coreografo israeliano freelance residente in Olanda – viene presentata in prima nazionale al festival della nuova scena tra teatro e danza che vede coinvolti i comuni di Castiglioncello, Rosignano Solvay e Livorno dal 27 giugno al 7 luglio 2013. Si tratta di una produzione olandese di quarantacinque minuti circa, strutturalmente suddivisa in due parti con epilogo, almeno dal punto di vista tematico e visivo, dato che non esiste alcuna scansione temporale dichiarata.

Nella prima parte dello spettacolo, i performer, due uomini e una donna (Pawel Konior, Majon Van Der Schout, David Vossen), vestiti con colorati abiti quotidiani, si muovono da una figura chiusa a una disposizione aperta, passando attraverso distanze e ritorni che segnano immaginarie linee orizzontali e diagonali sulla scena. Nella seconda parte i vestiti sono gradualmente eliminati, partendo non casualmente dal basso – dalle scarpe – fino a lasciare tre corpi nudi, affaticati, sudati per lo sforzo e lontani tra loro. Il primo avvicinamento avviene fra l’uomo e la donna, avvinghiati in un abbraccio che li fa carambolare a terra, con un movimento elicoidale ripetuto più volte: difficile stare inequilibrio – tema della sedicesima edizione del festival dedicato proprio all’instabilità e al rischio – quando dalla lotta individuale per l’indipendenza si passa al sostenersi a vicenda.

I corpi ‘instabili’ mostrati sulla scena da Mor Shani raccontano un percorso: dalla solitudine della crescita alla grazia dell’offerta reciproca. E su questo tema verte anche il dialogo fra una madre e un figlio, che le parole di David Grossman, proiettate sul fondale bianco, illustrano allo spettatore. Affiancando un codice verbale narrativo a uno corporeo rappresentativo si racconta dunque, in maniera duplice, una storia, ma i due codici tendono a sovrapporsi e a confondersi. Il testo, proiettato con intervalli lenti e quasi in controtempo rispetto all’omogenea piattaforma sonora di Van Keulen che scandisce i movimenti dei corpi, diventa esso stesso, infatti, rappresentazione visiva.

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Le presidentesse di Werner Schwab è una farsa feroce che denuncia i conformismi, le ipocrisie religiose e la violenza verbale e fisica che si celano sotto l’apparente quiete dei rapporti umani. Lo spettacolo – andato in scena in prima assoluta al Castello Pasquini di Castiglioncello, per il festival Inequilibrio – costituisce la seconda tappa del Progetto Schwab, percorso triennale che il Nerval Teatro dedica al mondo e al linguaggio dell’autore austriaco, scomparso precocemente nel 1994. La scrittura di Schwab, caratterizzata da un linguaggio che sprofonda nel corpo dell’attore attraversandone le viscere, incontra dunque una realtà teatrale che – fondata nel 2007 da Maurizio Lupinelli e da Elisa Pol – intreccia l’attenzione alla drammaturgia contemporanea ad un percorso dedicato ai diversi aspetti del disagio. Il risultato è un dialogo a tre personaggi femminili, interpretati dagli stessi Lupinelli e Pol e dell’attrice diversamente abile Federica Rinaldi, che si raccontano alternando sferzante ironia e grottesca comicità, con repentine discese nel tragico.

Ma non ci sono eroine in questa tragedia, solo fragilità umane che misurano, nella stessa squallida cucina, i propri limiti e le proprie grettezze – mascherate da sogni romantici e bigotta devozione – mentre la piccola Maria, come una Cassandra contemporanea, si rende balbuziente portavoce della verità. Una creatura pulita e sincera, che, nonostante l’umiltà delle sue mansioni (pulisce i bagni pubblici), sa leggere nella ‘merda’ e negli scarti che vede ogni giorno il presente e il futuro di un’umanità defecatrice. Perché nei rifiuti, nelle feci, nel vomito, in tutto ciò che l’uomo costantemente nasconde e rimuove nei cessi, negli angoli bui, nell’immondizia si annida la verità, che nessun detergente può lavare via.

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