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  • [Smarginature] «Ho ucciso l'angelo del focolare». Lo spazio domestico e la libertà ritrovata →
Abstract: ITA | ENG

A partire da una prospettiva che interseca diversi livelli di subalternità (donna-nera-senza radici), la regista e artista afro-femminista Amandine Gay ripercorre, nel suo film Une histoire à soi (2020), la storia di cinque persone adottate attraverso le loro immagini private. Le fotografie e i film di famiglia mostrano esperienze di adozioni transnazionali e transrazziali dentro a contesti domestici in cui il/la nuovo/a arrivato/a viene accolto/a come corpo individuale da annettere alla stirpe, secondo un principio di somiglianza che è dettato da convenzioni sociali, spesso veicolate dalle stesse pratiche visive amatoriali. Tradizionalmente, infatti, la casa si configura sia come lo spazio di esibizione di immagini di famiglia, sia come lo scenario per la rappresentazione del gruppo familiare nei momenti di festa e autocelebrazione. Tuttavia, nel caso delle famiglie adottive, simili rappresentazioni mostrano un’eccedenza che rimarca la discontinuità e la differenza tra i bambini e il resto del gruppo, richiamando un altrove che si definisce grazie alla reinterpretazione del principio di analogia, su cui si fonda una nuova identità sotto il segno della relazione estesa.

By structuring her perspective around different levels of subalternity (woman-black-rootless), in the film Une histoire à soi (2020), Afro-feminist filmmaker and artist Amandine Gay traces the history of five adoptees through their private images. The family photographs and films show experiences of transnational and transracial adoptions within domestic contexts in which the newcomer is welcomed as an individual body to be annexed to the lineage, according to a principle of resemblance that is dictated by social conventions, often conveyed by the same amateur visual practices. Traditionally, in fact, the home is configured both as the space for the exhibition of family images and as the setting for the representation of the family group in moments of happiness and self-celebration. However, in the case of adoptive families, such representations show an excess that emphasises the discontinuity and difference between the children and the rest of the group, recalling an elsewhere that is defined through the reinterpretation of the principle of analogy, on which a new identity is founded under the sign of the extended relationship.

Non mi è necessario tentare di diventare l’altro (di diventare altro), né di ‘fare’ l’altro a mia immagine.

É. Glissant

 

All’interno delle mura domestiche, la sala da pranzo è spesso percepita come il luogo dell’incontro tra le diverse generazioni. La convivialità dei pasti in famiglia fa rivivere i ricordi e concede spazio al racconto di episodi e aneddoti che si tramandano nel tempo (Demetrio 2022). In sala poi, si espongono fotografie che rappresentano i momenti salienti e le figure centrali della storia familiare, ma molte volte è questo stesso spazio a trasformarsi nella cornice di nuove immagini tese a fissare la complicità che unisce i vari membri della famiglia. In molte inquadrature, i soggetti sono ritratti vicini gli uni agli altri, si guardano reciprocamente, di frequente si stringono in un abbraccio, compiono cioè gesti che ostentano una prossimità affettiva attenta a rimarcare l’orgoglio di appartenere alla stessa stirpe. Non di rado si offre a livello visivo una somiglianza di tratti che connota l’identità familiare nel suo complesso, generando una trasformazione dell’ambiente domestico in ‘spazio dell’analogia’, vale a dire uno spazio agente in cui la disposizione dei corpi, reali o riprodotti in immagine, modella i processi di mutuo riconoscimento tra i membri del gruppo. Come infatti sostengono Marre e Bestard, le pratiche visive offrono l’opportunità di interrogare la potenza culturale delle somiglianze e delle connessioni corporee, dal momento che, seguendo il pensiero freudiano, nei processi di identificazione il soggetto forma sé stesso o sé stessa ‘per analogia’ rispetto a coloro che lo hanno preceduto o appartengono alla propria famiglia nel presente (Marre, Bestard 2009).

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