1. Introduzione
Measures of Distance è un lavoro di Mona Hatoum di grande delicatezza, perfetto per una riflessione sulla libertà con cui, dopo il «taglio femminista» (per usare un’espressione di Carla Lonzi), è possibile entrare e sostare nello spazio domestico – concettualmente e concretamente – senza temere l’ombra della grande ala dell’angelo del focolare. Il lavoro ci consegna una nozione di intimità che supera e sfida, in piena continuità con il femminismo degli anni Settanta, i tradizionali steccati che pretendevano di separare la sfera personale da quella pubblica. In questo video del 1988 l’operazione di Hatoum, a partire dalla costruzione di un dispositivo complesso, è quello di legare rappresentazione e soggettività, immergendosi nel racconto di una relazione madre-figlia, in cui proprio il tema dell’intimità serve come punto di passaggio per una riflessione che non è esagerato definire geo-politica. Gli elementi principali di una configurazione del mondo che già negli anni Ottanta annunciava la complessità con cui il presente convive – il peso delle guerre, le migrazioni, l’esilio, le identità culturali, il dominio dell’Occidente in un mondo globalizzato – sono richiamati dalla sovrapposizione di elementi visivi e sonori. Sullo sfondo l’immagine della madre, ripresa nella doccia dalla stessa Hatoum nel corso di un ritorno a casa, in Libano, nel 1981.
Figlia di genitori palestinesi rifugiati in Libano, Hatoum ha replicato una vicenda di esilio. Trovatasi a Londra al momento dello scoppio della guerra civile in Libano del 1975 e impossibilitata a tornare nel suo Paese, la sua condizione è stata a lungo quella di apolide. È stato detto che Measures of Distance è uno dei pochi lavori, se non l’unico, con un intento chiaramente autobiografico: l’intensità dei materiali e l’uso che ne fa l’artista lo rendono una vera e propria auto-etnografia (Kahn 2007). Hatoum parla di esilio scegliendo di raccontare la distanza che si è creata fra lei e la madre, senza temere ricadute nostalgiche, né riduzioni del discorso a una dimensione privata e femminile, limitata e separata così come vorrebbe la tradizione. Hatoum riproduce, dunque, e trasferisce sullo schermo, le lettere scritte a mano della madre che percorrevano la distanza da Beirut a Londra. La trascrizione dei caratteri arabi scorre accompagnata da una voce – quella dell’artista – che legge quelle stesse lettere in inglese con un tono che tradisce la tristezza e la nostalgia. Alla lettura della corrispondenza si alternano frammenti di conversazione in arabo tra madre e figlia, registrati dal vivo.