Se si considera nel suo insieme l’attività intellettuale e politica di John Berger, prodottasi attraverso una vasta molteplicità di campi (letteratura, disegno, pittura, fotografia, televisione e cinema, per ricordare i principali) ed estesa dal secondo dopoguerra al primo decennio del ventunesimo secolo, è comunque possibile rintracciare la presenza di alcuni passaggi salienti, se non anche decisivi.
Uno di questi momenti è la decisione di devolvere metà del premio in denaro corrispondente al Booker Prize, vinto nel 1972 per il romanzo G., alla formazione politica afroamericana delle Black Panthers,[1] utilizzandone l’altra metà per finanziare il progetto creativo, avviato in collaborazione con il fotografo Jean Mohr, che avrebbe portato alla pubblicazione di A Seventh Man (1975), iconotesto dedicato alle storie dei lavoratori migranti dell’epoca, in Europa.
Di poco successiva è un’altra scelta fortemente distintiva nel percorso intellettuale e creativo di John Berger, ossia la decisione di trasferirsi in Alta Savoia, regione montana e rurale della Francia meridionale. Come ha raccontato Anthony Barnett, si è trattato di una scelta dettata da un ‘demone’ nomadico, riconosciuto come tale anche dallo stesso John Berger.[2] Barnett, tuttavia, interpreta questa decisione anche alla luce del rigido classismo dell’Inghilterra dell’epoca, un atteggiamento ideologico incapace di accettare il radicalismo dell’intellettuale di estrazione borghese e, in generale, scarsamente sensibile a tematiche di ampio respiro socio-politico come la condizione dei lavoratori migranti al centro di A Seventh Man.[3]