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La tragedia greca non era molto popolare in Inghilterra fino alla fine del XVIII secolo: oltraggiava la sensibilità estetica e morale dell'epoca. Tuttavia, la versione latina delle tragedie di Eschilo, pubblicata da Thomas Stanley nel 1663, ebbe una notevole diffusione e fu ristampata anche all'estero. Dopo la traduzione latina di Stanley nel XVIII e all'inizio del XIX secolo furono pubblicate diverse traduzioni e commenti in inglese, in particolare del Prometeo; anche se una storia dettagliata di questo soggetto è ancora un desideratum. È interessante notare che J.H. Newman considerava questa tragedia come un vero e proprio capolavoro, e che l'interpretazione di Browning di un passaggio difficile è simile a quella offerta da un antico scholion, già pubblicato da Stanley.

Greek tragedy was not very popular in England up to the end of the 18th century: it offended the aesthetic and moral sensibilities of the age. However, the Latin version of Aeschylus’s tragedies, published by Thomas Stanley in 1663, achieved a remarkable circulation and was reprinted even abroad. After Stanley’s Latin translation, several English translations and commentaries, particularly of the Prometheus, were published in the 18th and early 19th century; even if a detailed history of this topic is still a desideratum, it is interesting to notice that J.H. Newman regarded this tragedy as a real masterwork, and that Browning's interpretation of a difficult passage is similar to that offered by an ancient, scholion, already published by Stanley.

1. Storie di traduzioni, ricordate e dimenticate, e di lettori, ricordati e dimenticati

Shelley, certo, moglie e marito, la lunga, sotterranea, traccia di Milton, e anche un po’ Byron: pure, Prometeo nella cultura inglese non vive solo nei grandi nomi, ma anche in un tessuto connettivo di traduttori e commentatori. Figure minori, ‘periferiche’, poco influenti nell’immagine della cultura generale, come appare da un qualche disdegno di Raymond Trousson, l’autore della più massiccia e documentata storia del tema prometeico nella letteratura europea: nel Settecento, sostiene l’autore, le traduzioni non apportarono un sostanziale aumento dell’interesse per Eschilo e in particolare per il Prometeo:[1]

Trousson non considera evidentemente significative le traduzioni, neppure quella latina di Stanley, alla quale si riferisce solo menzionando Edgar Quinet, che nel suo Prométhée riconduce appunto a Stanley la ‘cristianizzazione’ di Prometeo.[2]

In realtà, nella costruzione della ricezione di un testo le traduzioni hanno sempre una grande importanza: ancora un secolo fa, Pasquali osservava che era la conoscenza del greco a costituire la vera eccellenza culturale negli strati culturalmente più alti della popolazione inglese:[3] la traduzione era dunque necessaria per raggiungere un pubblico meno elitario. Ma la tragedia greca, e particolarmente quella eschilea, attirava poco per ragioni di sensibilità estetica e anche ‘morale’. Come ha notato Robert Garland, fondandosi su giudizi di Coleridge e di David Hume, la tragedia greca, diversamente, ad esempio, dall’Omero di Pope, colpiva negativamente l’uomo colto del Settecento: «In part the reason for the failure of Greek tragedy to attract the attention of any translator of distinction before the middle of the nineteenth century was the fact that it offended the aesthetic and moral sensibilities of the age».[4]

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